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La trasmissione imperfetta - fasopo

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UN‟ESPLORAZIONE DELL‟IMMAGINARIO 241<br />

rispetta è qualcosa che inevitabilmente affonda le radici nella storia. <strong>La</strong><br />

ricettività dei giovani rispetto a ciò che c‟è di nuovo, in questo modo è<br />

espulsa dal dominio della cultura. <strong>La</strong> continuità intergenerazionale sembra<br />

dunque essere l‟unico modo attraverso il quale un oggetto simbolico possa<br />

affermarsi come parte della cultura.<br />

Se in un primo momento queste riflessioni sembravano imporsi<br />

come esito di una piuttosto marcata convinzione, nella conclusione delle due<br />

ore di lezione qualche dubbio emerse. Uno, tra gli studenti più attivi, mi<br />

chiese infatti se secondo me fosse importante «continuare con la cultura?».<br />

Egli intendeva dire se era necessario continuare ad utilizzare ciò che<br />

rientrava nella sua definizione di cultura, ovvero quello che veniva<br />

tramandato intergenerazionalmente. Il mio imbarazzo fu forte in quel<br />

momento, perchè non mi sentivo nella posizione – in quanto osservatore che<br />

prima o poi sarebbe andato via da KwaMashabane – di esprimere un<br />

giudizio. Dissi, con molta incertezza, che secondo me era importante<br />

“continuare” ma cercando di pensare la cultura come qualcosa che può<br />

cambiare con il tempo. Tuttavia lo studente non fu a quel punto d‟accoro.<br />

Disse che quando le cose cambiano alcune non servono più. Come<br />

nell‟osservazione delle interazioni tra i giovani anche in questa discussione,<br />

nonostante una apparente rigidità del concetto di cultura, si era palesata una<br />

rielaborazione di ciò che veniva trasmesso intergenerazionalmente.<br />

Ho discusso il concetto di cultura anche con dei giovani che avevano<br />

ormai concluso il loro percorso scolastico. Riflettendo sulla terminologia<br />

isizulu utilizzata per definire questo termine, uno dei miei interlocutori più<br />

benestanti propose una distinzione particolarmente interessante. Egli<br />

distingueva la “cultura” traducibile in isizulu con il concetto di isiko, dal<br />

costume, che a suo modo di vedere definiva la cultura “agita”. Costume era<br />

tradotto con isiko mpilo. Analizzando i due termini è interessante notare<br />

come il primo sia riferibile alla definizione che era già stata proposta,<br />

ovvero di qualsiasi cosa sia riconosciuta come parte della cultura, grazie allo<br />

spessore storico che assume. <strong>La</strong> seconda, che è tradotta come costume,<br />

indica invece come la cultura viene agita ed, in essa, dal mio interlocutore<br />

venivano inclusi oggetti invece potenzialmente escludibili dalla prima<br />

definizione. Guardando inoltre le terminologie isizulu utilizzate emerge che

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