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le donne e il lavoro sognato. - Cestim

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prassi alternative, queste sono quel<strong>le</strong> relative alla vita quotidiana, alla vita socia<strong>le</strong>, al<strong>le</strong><br />

interazioni faccia-a-faccia ed al<strong>le</strong> relazioni tra gruppi ed istituzioni. L’ordine produttivo non<br />

può essere assolutamente messo in discussione, per cui sarebbe da chiedersi se ciò che<br />

abbiamo definito come “integrazione” nel mondo del <strong>lavoro</strong> non sia in realtà una pura e<br />

semplice “assim<strong>il</strong>azione” al modo di produzione capitalistico. Questa assim<strong>il</strong>azione è<br />

comunque richiesta anche ai lavoratori autoctoni, per cui alla fine <strong>il</strong> trattamento è<br />

effettivamente ugua<strong>le</strong> per tutti. Ma preferiamo continuare a parlare di integrazione anche<br />

in ambito lavorativo, perché pensiamo che effettivamente gli scambi relazionali, la<br />

comunanza, <strong>le</strong> affinità che si creano nell’ambito del <strong>lavoro</strong> permettono <strong>il</strong> crearsi di relazioni<br />

interpersonali che possono superare la serialità implicita nel ruolo del <strong>lavoro</strong> salariato nel<br />

modo di produzione capitalistico. Il fenomeno dell’alienazione del lavoratore, che prima<br />

Marx e poi Sartre hanno messo in luce, permane ancora oggi, ma sembra che analisi volte<br />

ad indagare questo tipo di fenomeni non siano più richieste dal mercato del<strong>le</strong> scienze<br />

sociali. Forse non è un caso che ad una sempre più alta presenza di immigrati nel mondo<br />

del <strong>lavoro</strong>, specialmente in fabbrica, <strong>il</strong> luogo per eccel<strong>le</strong>nza del <strong>lavoro</strong> alienante,<br />

corrisponda una progressiva diminuzione dell’attenzione agli aspetti qualitativi del <strong>lavoro</strong>.<br />

Qualitativi ovviamente per i lavoratori, non nei termini in cui <strong>il</strong> concetto di “qualità” viene<br />

ut<strong>il</strong>izzato dall’ideologia aziendalistica. In fondo ci si libera dell’argomento dicendo che gli<br />

immigrati fanno quei lavori che gli italiani non farebbero più. Ma cosa significa questo?<br />

Forse una gestione etnica dell’alienazione del <strong>lavoro</strong>? Non intendiamo proporre qui analisi<br />

vetero-marxiste, ormai superate, né proporre sempre su basi superate <strong>il</strong> conflitto di classe.<br />

Le esperienze socialdemocratiche nord-europee ci hanno insegnato come la lotta di<br />

classe possa in qualche modo essere “sublimata” attraverso un nuovo contratto socia<strong>le</strong>, in<br />

vista del qua<strong>le</strong> la logica del contrasto a-priori operai-padroni viene superata. Ciò che<br />

riscontriamo è piuttosto come <strong>il</strong> processo di globalizzazione, che ha creato sì maggiore<br />

ricchezza genera<strong>le</strong>, ma a scapito della sicurezza lavorativa ed esistenzia<strong>le</strong> individua<strong>le</strong>,<br />

abbia spazzato via interi settori della ricerca socia<strong>le</strong>, che sebbene superati in molti aspetti<br />

del<strong>le</strong> loro conclusioni, erano non di meno in grado di affrontare, di delimitare, dei settori<br />

efficaci di analisi socia<strong>le</strong>. La classe operaia, <strong>le</strong> classi medie, gli impiegati, i commercianti, i<br />

proprietari, i borghesi, esistono ancora, ma la loro esistenza è stata anestetizzata,<br />

ricompresa nella loro comune essenza di consumatori. Certo, affermare semplicemente<br />

che <strong>le</strong> teorie del<strong>le</strong> scienze sociali rispecchiano supinamente l’ideologia dominante della<br />

classe borghese potrebbe suonare probab<strong>il</strong>mente anche ridicolo, ma potremmo<br />

evidenziare, seguendo i criteri dell’impostazione di Bourdieu, come <strong>il</strong> campo della ricerca<br />

socia<strong>le</strong>, si riproduca ut<strong>il</strong>izzando strumenti teorici che gli permettono di sopravvivere senza<br />

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