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le donne e il lavoro sognato. - Cestim

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“..si vive a casa propria..”. Ma è ormai evidente come l’ambito domestico non sia più in<br />

grado di farsi carico di questi aspetti non solo secondari del processo di integrazione, che<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo dei media e della globalizzazione sta amplificando sempre di più. Senza<br />

indugiare sui fenomeni di rivolta del<strong>le</strong> banlieue parigine degli ultimi anni, è evidente come<br />

<strong>il</strong> modello abbia dimostrato di non funzionare : oltre ad aver creato del<strong>le</strong> sacche etniche di<br />

cittadini di seconda classe, con minore capacità di accesso ai beni ed ai servizi e di<br />

conseguenza ai diritti, è evidente come <strong>il</strong> processo di globalizzazione in corso mini al<strong>le</strong> sue<br />

stesse basi concetti quali identità, identità naziona<strong>le</strong> ed amplifichi la capacità di diffusione<br />

e di comunicazione del<strong>le</strong> identità transnazionali e diaspori che, diffic<strong>il</strong>mente ricucib<strong>il</strong>i negli<br />

ambiti della vecchia idea ottocentesca dello stato-nazione.<br />

b) – l’integrazione, nell’accezione del modello dei paesi scandinavi, prevede un<br />

accompagnamento degli immigrati nell’acquisizione dei modelli culturali del paese<br />

ospitante, ma anche nella tutela di quelli del<strong>le</strong> culture ospiti, sebbene non preveda la loro<br />

manifestazione qua<strong>le</strong> diritto di gruppo, come nel multiculturalismo. E’ un modello che ha<br />

successo, ma in ogni caso in quei paesi i fenomeni migratori sono ridotti e controllati.<br />

c) – l’integrazione, nell’accezione del modello italiano, è come abbiamo già visto, un<br />

modello intuitivo più che un programma ben definito di intervento. Ha come sua punta di<br />

diamante l’intervento intercultura<strong>le</strong> nella scuola, dove si cerca di fac<strong>il</strong>itare lo scambio<br />

cultura<strong>le</strong> tra gli allievi italiani e quelli stranieri, cercando di non privi<strong>le</strong>giare l’impatto della<br />

cultura ospitante e di rivalutare <strong>il</strong> ruolo del<strong>le</strong> culture ospiti. Il modello intuitivo è<br />

probab<strong>il</strong>mente <strong>le</strong>gato ad un’aspettativa inconscia positiva che gli italiani hanno nei<br />

confronti dell’immigrazione, forse <strong>le</strong>gata al ricordo dell’esperienza fatta da molti come<br />

emigranti a suo tempo, ma stiamo notando l’emergere di una reazione altrettanto intuitiva<br />

e diffusa di tipo rifiutante nei confronti degli immigrati. C’è l’estrema necessità di codificare<br />

<strong>le</strong> esperienze positive fatte in ambito integrativo alfine di prevenire l’ondata di rifiuto,<br />

spesso priva di valide argomentazioni teoriche, che altrimenti sarà in gradi di spazzar via<br />

quanto di positivo è stato fatto finora. Tra questi aspetti positivi, ricordiamo, almeno nel<br />

nord Italia, la non ghettizzazione del<strong>le</strong> comunità straniere, se non in alcuni quartieri del<strong>le</strong><br />

grandi città (vedi Torino e M<strong>il</strong>ano), attraverso la diffusione abitativa e l’importante ruolo<br />

integrativo svolto dalla stessa attività lavorativa degli immigrati.<br />

d) – <strong>il</strong> multiculturalismo, è stato spesso identificato con la politica britannica<br />

sull’immigrazione. In realtà, come teoria della prassi cultura<strong>le</strong>, nasce sia nel Nord-America<br />

(in Canada), che nel Regno Unito, ma ha percorsi teorici diversi da quelli evidenziati dalla<br />

politica britannica sull’immigrazione. Il “multiculturalismo” pratico governativo britannico,<br />

nasce da particolari condizioni sociali, lascito del passato Impero Britannico : forti<br />

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