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le donne e il lavoro sognato. - Cestim

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può essere inteso in modo strumenta<strong>le</strong>, dei concetti stessi di comunità, cultura, etnia, ecc.<br />

Spesso si ha l’impressione che l’ut<strong>il</strong>izzo di questi termini nasconda <strong>il</strong> tentativo di<br />

mascherare determinati aspetti della realtà socia<strong>le</strong> : spesso <strong>le</strong> comunità immigrate sono<br />

riconducib<strong>il</strong>i ad una stessa appartenenza di classe socia<strong>le</strong>, la nuova classe operaia<br />

dell’occidente industria<strong>le</strong>, costituita in gran parte da immigrati. Un modo per nascondere la<br />

mancanza di interventi sociali nei confronti di questa nuova classe è <strong>il</strong> definirne i prob<strong>le</strong>mi<br />

in termini di cultura, comunità, etnia. Così non abbiamo più prob<strong>le</strong>mi di scarsità di alloggi<br />

per la classe operaia britannica, ma prob<strong>le</strong>mi di sovraffollamento nei quartieri etnici del<strong>le</strong><br />

comunità sud-asiatiche, modo di affrontare <strong>il</strong> prob<strong>le</strong>ma che evita di parlare di<br />

ghettizzazione e permette magari di parlare di abitudini abitative diverse, ecc. Quando si<br />

dice ad esempio che uno degli scopi del<strong>le</strong> politiche di coesione socia<strong>le</strong> deve essere quello<br />

di far diminuire <strong>le</strong> disparità economiche tra <strong>le</strong> comunità, forse si fa finta di non sapere che<br />

in fondo tra comunità di pakistani, bangladesi e bianchi poveri, <strong>le</strong> differenze economiche<br />

non sono molte e che tutte queste comunità, questi settori della classe operaia, avrebbero<br />

bisogno di politiche meno segregative e classiste. Ci riferiamo qui ad esempi del Regno<br />

Unito, perché in fondo oltre ad esprimere in modo più drammatico queste disparità, è<br />

anche <strong>il</strong> paese in cui questo dibattito socia<strong>le</strong> si è sv<strong>il</strong>uppato in modo più chiaro, senza<br />

nascondersi dietro ai paraocchi dell’identità naziona<strong>le</strong> assediata, come è avvenuto in<br />

Francia e come sta’ avvenendo ora in Italia. Non intendo ovviamente affermare che tutto <strong>il</strong><br />

dibattito fatto finora sulla cultura e sul<strong>le</strong> comunità vada sostituito da un’impostazione<br />

basata solo su criteri di classe, ma ovviamente questa è una variabi<strong>le</strong> che va inserita in<br />

modo nuovo in questo ambito.<br />

In ogni caso, un qualsiasi approccio che abbia a cuore lo sv<strong>il</strong>uppo dell’integrazione tra<br />

culture a livello socia<strong>le</strong> non può non essere consapevo<strong>le</strong> della necessità di fare interagire<br />

tra loro tre e<strong>le</strong>menti principali : la cultura, l’azione istituziona<strong>le</strong> e la valorizzazione del<br />

capita<strong>le</strong> socia<strong>le</strong>.<br />

A – LA CULTURA.<br />

Una comunità di migranti conserva <strong>le</strong> sue radici culturali e <strong>le</strong> sv<strong>il</strong>uppa, ma ciò non né un<br />

ostacolo per l’integrazione. Nel saggio già citato nei precedenti paragrafi del capitolo, la<br />

Werbner sottolinea come :<br />

a) – per radicarsi in un nuovo paese, i migranti transnazionali moderni devono insediarsi<br />

inizialmente, culturalmente e socialmente, a parte;<br />

b) – in queste culture incapsulate, la cultura è sia aperta, in cambiamento e fluida, ma<br />

ancora sperimentata come un imperativo.<br />

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