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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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4.16. Ai cittadini di Paesi terzi legalmente residenti nell’Unione dovrebbero essere date garanzie riguardanti il rispetto<br />

dei <strong>diritti</strong> umani, l’uguaglianza di trattamento e la non-discriminazione in riferimento ai <strong>diritti</strong> sociali, economici e culturali<br />

e il diritto a votare nelle elezioni locali, in accordo con la Convenzione del Consiglio d’Europa;<br />

4.17. Dovrebbe essere garantita entro il campo d’azione dell’Unione Europea (inclusa l’EUROPOL) una comprensiva<br />

protezione legale da parte dei tribunali nazionali, della Corte di prima istanza e della Corte di giustizia europea;<br />

4.18. Lo sport deve essere incluso nel trattato, nel contesto di una politica dell’educazione, della formazione e<br />

dell’occupazione, come pure quale politica culturale. L’Unione dovrebbe incoraggiare in particolare iniziative transnazionali,<br />

pur rispettando le identità sportive nazionali.”<br />

Con queste richieste il PE confermava ancora una volta la sua chiarissima linea d’azione, mirante a<br />

porre la “<strong>cittadinanza</strong> europea” come la chiave di volta dell’intero edificio europeo ossia dell’UE<br />

come “Unione politica”. Di qui la richiesta di conferire una “precisa sostanza legale” a tale <strong>cittadinanza</strong>,<br />

individuandola in una serie di <strong>diritti</strong> (e di doveri), che, sino ad allora “sparsi per tutto il trattato”,<br />

avrebbero dovuto conoscere un loro “consolidamento” all’interno di un unico capitolo specifico,<br />

dedicato alla <strong>cittadinanza</strong> europea, che perciò avrebbe dovuto costituire anzi il primo capitolo<br />

del nuovo trattato. L’intitolazione attribuita a questa serie di <strong>diritti</strong> era peraltro sintomatica di<br />

un’intenzionalità ben più accentuata; infatti il termine “Dichiarazione”, ripreso dall’omonimo documento<br />

del PE del 1989 (che avrebbe dovuto essere la base per la sua elaborazione) e da tutta la<br />

tradizione “rivoluzionaria” moderna (olandese, inglese, americana e soprattutto francese), testimoniava<br />

la fedeltà del PE al disegno a) di un’originaria posizione fondativa di una serie di <strong>diritti</strong> umani,<br />

che, in quanto tali, venivano riferiti non solo ai cittadini europei, ma a tutti i residenti<br />

nell’Unione, nonché b) della predisposizione, in essa, di norme che regolassero “l’esercizio” di tali<br />

<strong>diritti</strong>. Quest’ultimo punto faceva la differenza con l’analoga Dichiarazione universale dell’ONU,<br />

perché, nel caso europeo, si sarebbe trattato di una Dichiarazione “autoinstallante” dei <strong>diritti</strong> umani.<br />

Tale novità era data dal fatto che il soggetto dichiarante ovvero l’UE avrebbe, con la propria adesione<br />

alla Convenzione europea del Consiglio d’Europa, assunto la natura e il ruolo di un vero soggetto<br />

politico-istituzionale, atto a rispettare e a far rispettare, nel diritto europeo, (almeno) i <strong>diritti</strong><br />

sanciti da tale Convenzione e disposto a sottoporsi a tal proposito all’esame della Corte europea dei<br />

<strong>diritti</strong> umani (organo giurisdizionale dello stesso Consiglio d’Europa), alla stessa stregua dei Paesi<br />

terzi europei.<br />

In tal modo la Dichiarazione dei <strong>diritti</strong> fondamentali, fondativa della stessa <strong>cittadinanza</strong> europea, sarebbe<br />

con ciò diventata la “missione” dell’UE, giustificativa della sua autorità politico-istituzionale<br />

intrinseca e sugli stessi Stati membri. Infatti il nuovo trattato avrebbe dovuto dire esplicitamente che<br />

“incombe” agli Stati membri la protezione dei <strong>diritti</strong> umani (così come sanciti dalla Dichiarazione),<br />

un’espressione, che, mentre assegnava a essi e solo a essi il compito pratico di tale protezione, insieme<br />

poneva loro questo compito come un dovere inderogabile di fronte all’UE e, come tale, condizione<br />

della loro stessa appartenenza all’Unione.<br />

Fra i <strong>diritti</strong> fondamentali della <strong>cittadinanza</strong> europea e dell’UE avrebbero dovuto figurare, tra l’altro,<br />

l’”abolizione della pena capitale” (al primo posto), il “pari trattamento” e la “non discriminazione”<br />

(in generale), il “pari trattamento tra donne e uomini” (in particolare) esteso a tutte le aree, ma anche<br />

i “<strong>diritti</strong> economici e sociali di portata transnazionale” (validi per tutti gli Stati membri), almeno<br />

quanto ai <strong>diritti</strong> individuali e collettivi dei lavoratori dipendenti.<br />

Quanto al diritto dell’UE, la Dichiarazione avrebbe dovuto prestarsi di per se stessa a criterio fondamentale<br />

di un’attività giuridica dell’Unione, che, proprio grazie al compito di far valere i <strong>diritti</strong><br />

umani, sarebbe stata una vera e propria attività legislativa, con autentiche leggi, che, per quanto riguarda<br />

la protezione immediata dei <strong>diritti</strong> umani, avrebbero dovuto regolare gli aspetti “transfrontalieri”<br />

ossia le situazioni in cui fossero coinvolti cittadini di uno Stato membro diverso da quello di<br />

residenza, p.e. per quanto riguarda la “libertà d’associazione” e la “famiglia”.<br />

Ma la Dichiarazione avrebbe dovuto comprendere soprattutto “una sezione sui <strong>diritti</strong> politici”, per i<br />

quali il PE prevedeva: 1) l’approvazione entro un termine ben preciso di un uniforme sistema elettorale<br />

del PE (atto a generare una vera omogeneità tra gli elettori); 2) uno statuto unico dei membri<br />

del PE (atto a generare una vera omogeneità tra gli eletti); 3) lo sviluppo di partiti politici a livello

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