cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"
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Quanto al terzo e ultimo principio oggetto della Dichiarazione, ovvero a quello della “sussidiarietà”,<br />
esso era l’oggetto di un particolare “Accordo interistituzionale tra il Parlamento Europeo, il Consiglio<br />
e la Commissione sulle procedure per applicare il principio di sussidiarietà”, accluso alla Dichiarazione<br />
stessa. In tale accordo ogni istituzione si impegnava a calibrare e a motivare ogni suo<br />
atto rispetto a una preliminare valutazione della sua conformità a tale principio.<br />
Nell’imminenza dell’entrata in vigore del trattato di Maastricht e quindi della nascita dell’Unione<br />
Europea, veniva convocata quindi la riunione straordinaria del Consiglio europeo di Bruxelles del<br />
29 ottobre 1993. Il suo primo compito fu quello di approvare la “Dichiarazione sull’entrata in vigore<br />
del trattato sull’Unione Europea”. Essa tracciava il bilancio della difficile stagione del processo<br />
di ratifica di esso e intendeva essere un messaggio di fiducia nella nascente Unione Europea.<br />
Infatti la Dichiarazione affermava che l’entrata in vigore del trattato era importante sia per via del<br />
suo contenuto, sia per via dell’”intenso dibattito, che la sua ratifica ha occasionato”.<br />
Quanto al suo contenuto, la Dichiarazione metteva in luce le quattro acquisizioni principali, a cui<br />
esso avrebbe condotto: 1) “una maggiore prosperità economica”, grazie al varo dell’UEM; 2) “una<br />
maggiore ambizione esterna”, grazie alla PESC; 3) “una maggiore efficacia”, grazie alla “cooperazione<br />
nei settori della giustizia e degli affari interni”; 4) “una maggiore democrazia”, grazie alla <strong>cittadinanza</strong><br />
dell’Unione (e ai <strong>diritti</strong> “speciali” a questa connessi) e al maggiore potere del Parlamento<br />
Europeo (peraltro “pudicamente” non citati).<br />
Ma la Dichiarazione si soffermava pure sul fatto che<br />
“la ratifica è stata l’occasione per un vero dibattito pubblico sulla costruzione dell’Europa, sui suoi scopi e sui suoi metodi.<br />
Questo dibattito è stato salutare. Esso ha rivelato debolezza. Ci sono parecchi per i quali l’Europa sembra distante,<br />
anonima e che interferisca. Per questa ragione, desideriamo introdurre maggiore trasparenza, apertura e decentralizzazione<br />
nelle nostre procedure. Vogliamo un’Europa vicina al cittadino e che intervenga solo dove necessario a perseguire<br />
i nostri interessi comuni. L’unità della nostra azione può e deve essere riconciliata con la diversità delle nostre tradizioni.<br />
L’efficacia può e deve essere riconciliata con la democrazia.” 173<br />
Volgendo quindi lo sguardo all’avvenire, la Dichiarazione continuava dicendo:<br />
“E’ ora importante dar vita al trattato dell’Unione. Esso ci provvede di un nuovo quadro di riferimento e di nuovi mezzi<br />
di conseguimento dei nostri permanenti obiettivi: sicurezza, prosperità e solidarietà. Esso ci permette nuove vie di servire<br />
la nostra ambizione: un’Unione Europea forte, coerente e responsabile, un polo di stabilità e di attrazione per il nostro<br />
continente e per il mondo.<br />
I cittadini d’Europa sanno che la Comunità ha portato loro una fine di guerre sanguinose, un più alto livello di prosperità<br />
e una maggiore influenza. Sanno che oggi, persino più di ieri, l’isolamento e l’arroccamento sono false soluzioni,<br />
comunque illusorie e talvolta pericolose. Essi devono realizzare anche che l’Unione Europea li aiuterà ad affrontare la<br />
trasformazione industriale e sociale, le sfide esterne e un numero dei flagelli della nostra società, a partire dalla disoccupazione.<br />
Ciò presuppone che i popoli d’Europa li affrontino insieme con energia, determinazione e, soprattutto, fiducia.”<br />
174<br />
173 Questo testo, purtroppo, avrebbe potuto essere scritto tuttora. E proprio perciò queste strategie, volte a risolvere i<br />
problemi già allora emersi, si riveleranno insufficienti quanto al grado della loro effettiva realizzazione o persino in se<br />
stesse. Infatti fra i tre presunti caratteri negativi dell’Europa quello centrale e insieme meno considerato era proprio la<br />
sua “anonimia”. Centrale perché un’Europa “anonima” non avrebbe potuto essere percepita se non come distante e interferente;<br />
meno considerato, perché tentare di andare oltre tale “anonimia” avrebbe significato riaprire la questione<br />
dell’”identità” politica dell’Unione Europea e della <strong>cittadinanza</strong> dell’Unione, un tema rivelatosi quanto mai “pericoloso”<br />
in occasione già del processo di ratifica del trattato di Maastricht e in particolare del primo referendum danese. Si<br />
era così posti fin da allora di fronte a un’apparente contraddizione in molti “cittadini dell’Unione”: l’”anonimia” infatti<br />
era e sarà per un verso esecrata, ma per l’altro verso pretesa, l’estraneità dell’UE da un lato condannata, ma dall’altro<br />
lato voluta, l’insignificanza della <strong>cittadinanza</strong> dell’Unione da una parte dileggiata, ma d’altra parte giudicata necessaria<br />
per definizione (“una <strong>cittadinanza</strong> dell’Unione non può essere che insignificante”).<br />
174 Il Consiglio europeo tradiva dunque con queste parole la propria reale convinzione: il trattato di Maastricht non era<br />
altro che un insieme di mezzi nuovi per perseguire da un lato gli stessi obiettivi di sempre (“sicurezza, pace e prosperità”),<br />
ma anche, d’altro lato, l’ambizione di creare “un’Unione Europea forte” ossia l’essenziale finalità esterna dell’UE,<br />
in realtà nata per far da contenitore ai vari Stati europei, portando una pace definitiva nel continente e consentendo<br />
all’Europa di assumere un ruolo di primo piano nel mondo. Rispetto a tali obiettivi, il messaggio di fiducia del Consiglio<br />
europeo ai “cittadini d’Europa” suonava alquanto riduttivo: la “fiducia” doveva essere basata infatti sulla consape-