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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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l’ultimatum proposto era in realtà il “loro” ultimatum già deciso e come tale valido non solo verso<br />

l’Iraq, bensì verso chiunque (ONU compresa) osasse opporsi a esso; perciò l’effetto della scadenza<br />

dell’ultimatum era il seguente: era istituito un potere, alternativo a e sostitutivo di quello dell’ONU,<br />

che si assumeva il diritto, già proprio di essa, di decidere se e quando muovere guerra a questo o a<br />

quel Paese, in base a proprie insindacabili valutazioni della pericolosità di quest’ultimo. E di tale<br />

potere si facevano sostenitori due Stati membri dell’UE, che avevano sottoscritto (appena un mese<br />

prima) la dichiarazione unanime dell’ultimo Consiglio europeo che “spetta anzitutto al Consiglio di<br />

sicurezza la responsabilità del disarmo dell’Iraq”. Tre giorni dopo, il 20 marzo 2003, iniziava un<br />

conflitto, che continua, sotto forme diverse, tuttora: la guerra in Iraq. 370<br />

Fu un evento talmente grave per l’ONU, l’OSCE, l’OCSE, la NATO e la stessa UE, che paradossalmente<br />

l’unico atteggiamento possibile fu quello di… tacere, per non aggravare ulteriormente i<br />

rapporti sia entro quelle organizzazioni internazionali, sia entro la stessa UE, rinviando a un imperscrutabile<br />

“dopoguerra” il ristabilimento del diritto internazionale nell’ONU e dell’unità della PESC<br />

nell’UE. Tale decisione, per l’UE, fu istantanea, visto che l’attacco all’Iraq coincise con l’apertura<br />

del Consiglio europeo di Bruxelles del 20-21 marzo 2003. In previsione e subito prima di esso, nella<br />

stessa giornata del 20 marzo 2003, veniva indetta d’urgenza una discussione nel PE sulla guerra<br />

in Iraq. Prendevano la parola ancora una volta gli stessi protagonisti della precedente discussione<br />

parlamentare di otto giorni prima. Il presidente del Consiglio, Papandreou, affermò la necessità in<br />

primo luogo che “la crisi in Iraq […] debba ora spingere l’Unione Europea a trarre importanti conclusioni<br />

sulle proprie istituzioni, sul nostro ruolo, sulle sfide che ci troviamo di fronte e su come<br />

possiamo affrontare in modo più efficace la situazione”, evidenziando come la guerra in Iraq avesse<br />

portato allo scoperto la questione dell’identità stessa dell’UE e la necessità di una sua profonda riforma<br />

istituzionale. Il commissario per le relazioni esterne Patten poneva invece l’accento sulle relazioni<br />

dell’UE con gli Stati Uniti, dicendo tra l’altro:<br />

“Avremo maggiori probabilità di poter conseguire la maggior parte degli obiettivi che vogliamo realizzare come Europei<br />

se sapremo collaborare con gli Stati Uniti. Del pari, gli Stati Uniti avranno maggiori probabilità di realizzare la<br />

maggior parte di ciò che vogliono se sapranno collaborare con l’Unione Europea. Infine, è indiscutibile che al mondo è<br />

più utile in termini di prosperità, sicurezza e stabilità che l’America e l’Unione Europea lavorino congiuntamente.”,<br />

e ponendo tuttavia una ben precisa condizione a tale collaborazione transatlantica:<br />

“Dobbiamo tornare al modo in cui il mondo era governato, o non governato, nel XIX secolo – un mondo di sovranità<br />

nazionali rivali e di equilibri di potere? O vogliamo cercare di ricostruire le istituzioni e le consuetudini della governance<br />

globale faticosamente conquistate negli ultimi 50 anni? Questa è la scelta netta che dobbiamo affrontare. Io<br />

so già da che parte schierarmi.”<br />

Il dibattito parlamentare segnalava invece una drammatica spaccatura tra il PPE, ormai orientato<br />

verso il “nuovo ordine” mondiale, da un lato, e il PSE e il PELDR, apertamente critici verso la<br />

guerra preventiva e unilaterale in Iraq. Il capogruppo del PPE, Poettering, infatti (nella completa<br />

dimenticanza ormai della sua impegnativa affermazione in aula solo otto giorni prima che “qualsiasi<br />

azione venga avviata nei confronti dell’Iraq va messa in atto nel quadro della comunità internazio-<br />

370 L’invasione dell’Iraq propriamente detta vide peraltro la partecipazione di forze armate esclusivamente del Regno<br />

Unito, fra tutti gli Stati membri dell’UE. La posizione del governo italiano di allora era a favore della guerra in Iraq,<br />

preventiva e unilaterale. Tuttavia la Costituzione italiana, all’articolo 11, afferma: “L'Italia ripudia la guerra come strumento<br />

di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in<br />

condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la<br />

giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” In altri termini la<br />

stessa Costituzione italiana afferma la legittimità di una guerra solo se determinata espressamente da una risoluzione del<br />

Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Perciò il governo italiano di allora emise la stessa dichiarazione emessa dal<br />

governo italiano nel settembre 1939 ossia quella della “non belligeranza”, con un significato su per giù del tipo; “vorremmo,<br />

ma non possiamo” attaccare ora l’Iraq, come neppure, nel 1939, la Francia e la Gran Bretagna.

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