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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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Per quanto riguarda gli articoli 3, 4 e 5 del trattato di Amsterdam, si prevedevano analoghe modifiche<br />

rispettivamente al trattato Ceca, a quello CEEEA e all’atto del 1976 relativo all'elezione dei<br />

rappresentanti nel Parlamento europeo a suffragio universale.<br />

Per la Parte seconda (“Semplificazione”) del trattato di Amsterdam, si elencavano tutte le modifiche,<br />

anche verbali, ritenute necessarie a “sopprimere disposizioni obsolete” dei trattati costitutivi.<br />

In ultima analisi anche il trattato di Amsterdam, nell’atto stesso in cui rispondeva positivamente a<br />

una serie di esigenze, lasciava insoluti altri problemi, in questo caso quello più importante in vista<br />

dell’allargamento massiccio dell’UE ovvero “la composizione e il funzionamento delle istituzioni”,<br />

rinviando espressamente per la soluzione a una nuova CIG e quindi a un nuovo trattato. Tale continuo<br />

processo di revisione dei trattati costitutivi avrebbe tuttavia assunto (proprio per la mancata soluzione<br />

al problema di fondo delle “istituzioni” di fronte all’avvicinarsi dell’allargamento dell’UE)<br />

un ritmo sempre più frenetico, di molto superiore alle capacità di “assorbimento” da parte dei “cittadini<br />

europei”, e finendo così, paradossalmente, per conseguire l’effetto opposto a quello che si<br />

sperava raggiungere grazie a una soluzione del problema istituzionale, ovvero la progressiva paralisi<br />

dell’UE.<br />

In ogni caso, poche settimane dopo la firma del trattato di Amsterdam, il 30 ottobre 1997, il Regno<br />

Unito notificava ufficialmente la propria definitiva intenzione di non partecipare alla terza fase<br />

dell’UEM e quindi alla moneta dell’Unione ossia all’euro. 253<br />

Quanto al nuovo trattato, il PE prendeva posizione su di esso con la risoluzione del 19 novembre<br />

1997 “sul trattato di Amsterdam” (relatori: Iñigo Méndez de Vigo 254 e Dimitris Tsatsos). Stavolta il<br />

giudizio del PE sul nuovo trattato era molto positivo, riconoscendo i notevoli miglioramenti apportati<br />

al trattato di Maastricht. 255 E tuttavia, nella sua “valutazione complessiva”, il PE “lamenta<br />

l’assenza nel trattato di Amsterdam delle riforme istituzionali che occorrono per il funzionamento<br />

effettivo e democratico di un’Unione allargata e afferma che queste riforme dovrebbero essere<br />

completate prima dell’allargamento e al più presto possibile in modo da non ritardare le adesioni”.<br />

Per quanto riguarda i “principi” del trattato, il PE “lamenta, comunque, l’assenza di un preambolo<br />

del tipo di quelli usati in precedenti trattati per esprimere chiaramente una comune volontà politica<br />

tra le parti contraenti che dovrebbe essere diretta verso l’appartenenza a una Comunità […]”.<br />

Per quanto riguarda le “basi delle politiche dell’Unione”, il PE, molto preoccupato per le “deroghe”<br />

concesse ai soliti tre Stati membri rispetto allo SLSG, “fa appello ai governi di Danimarca, Irlanda e<br />

del Regno Unito di prender parte fin dalle prime fasi alle misure della Comunità in questo campo”.<br />

Per quanto riguarda i “temi istituzionali”, la risoluzione del PE avanzava le seguenti specifiche richieste:<br />

1) le seguenti riforme istituzionali da realizzare senza una precisa scadenza:<br />

253 Tale decisione finale britannica era motivata pure dal fatto che l’economia del Regno Unito stava rapidamente riprendendosi<br />

dalla crisi del 1992 e anzi, proprio entro quell’anno 1997, il PIL britannico avrebbe definitivamente superato<br />

il PIL italiano, ricollocandosi saldamente al terzo posto in Europa. Anzi la Gran Bretagna, grazie alla più avanzata<br />

adozione proprio della nuova politica UE per l’occupazione, fissata dal trattato di Amsterdam e dallo stesso Consiglio<br />

europeo immediatamente successivo alla sua firma (vedi oltre), conosceva il raggiungimento di un PIL, che già entro il<br />

1999 superava quello della stessa Francia, con un collocamento stabile dell’economia britannica al secondo posto in Europa.<br />

Questa situazione, prodottasi quindi già prima dell’adozione “pratica” dell’euro, avrebbe comportato, negli anni<br />

successivi a quest’ultima, la nascita di facili paragoni tra la dinamicità dell’economia britannica senza euro e la sclerosi<br />

dell’economia della zona euro. In realtà ciò che mancherà ad “Eurolandia” sarà una politica economica necessariamente<br />

comune condotta con la stessa risolutezza britannica.<br />

254 Iñigo Méndez de Vigo è dal 1992 membro spagnolo del PE nel gruppo del PPE.<br />

255 Nei richiami di ordine giuridico, comprovanti questo giudizio, la risoluzione affermava, tra l’altro: “richiamandosi<br />

alle opinioni delle organizzazioni non-governative che hanno risposto all’invito della Commissione sugli affari istituzionali<br />

e hanno preso parte alla seduta congiunta del 7 ottobre 1997 ,“. Il PE stava dunque proseguendo stabilmente, anche<br />

a trattato concluso, la propria opera di consultazione con le “associazioni” di cittadini, usando ormai la chiara espressione<br />

di “organizzazioni non-governative” (ONG), coinvolte stabilmente persino nel più delicato e onnicomprensivo<br />

settore politico ovvero in quello istituzionale. Era il trionfo, anche nell’ambito della sfera di riferimento del PE, della<br />

“dimensione partecipativa” della democrazia europea.

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