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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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• ridurrebbe notevolmente l'attuale bisogno di modificare incessantemente i trattati europei;<br />

• renderebbe la struttura istituzionale di base più perspicua, più comprensibile per l'opinione pubblica;<br />

• introdurrebbe una procedura di revisione basata, almeno in parte, su una forma di votazione a maggioranza, con l'intervento<br />

del Parlamento europeo.”<br />

- “Su questo argomento è già stato condotto un lavoro preliminare rilevante, in particolare presso l'Istituto universitario<br />

europeo di Firenze. Esistono progetti che mostrano come si potrebbe procedere a una divisione del genere.<br />

L'impostazione suggerita dal presente rapporto non provocherebbe quindi indebiti ritardi. La Commissione potrebbe<br />

dare mandato all'Istituto europeo affinché ultimi il suo lavoro, in cooperazione con i servizi giuridici del Consiglio, della<br />

Commissione e del Parlamento. Ciò permetterebbe di chiarire i termini della discussione e di dimostrare la fattibilità<br />

e l'interesse di una riorganizzazione dei testi dei trattati. Fin dall'inizio dei suoi lavori la CIG potrebbe allora disporre di<br />

un progetto concreto quale base di negoziato se, conformemente alla proposta del gruppo, deciderà di procedere in questo<br />

modo.”<br />

Con queste affermazioni il gruppo di Dehaene focalizzava nel modo più chiaro il pericolo maggiore<br />

a cui l’UE era ormai posta di fronte. Il processo d’integrazione europea era infatti iniziato, quasi<br />

mezzo secolo prima, con l’istituzione, da parte di soli sei Paesi di una serie di Comunità, fondate su<br />

altrettanti trattati di natura internazionale, che, come tali, richiedevano la negoziazione, la firma e la<br />

ratifica di essi all’unanimità. Nello sviluppo storico di tale processo d’integrazione il modello comunitario<br />

fu peraltro talmente fecondo da provocare la necessità di un sempre più rapido e intensivo<br />

arricchimento del diritto primario comunitario, sotto forma di nuovi trattati emendativi, protocolli,<br />

trattati di adesione di nuovi Stati membri ecc., con la creazione persino di una nuova Unione Europea,<br />

accanto o al di sopra delle Comunità. Il risultato fu una pletora di trattati sempre più difficilmente<br />

controllabile e gestibile da parte degli stessi addetti ai lavori e soprattutto sempre meno comprensibile<br />

e persino leggibile da parte dei cittadini, con la conseguente loro diffidenza nei confronti<br />

dell’Unione. Inoltre il perdurante meccanismo della regola dell’unanimità nella conclusione di ogni<br />

singolo trattato, anche in presenza di una Comunità a 9 o a 10 o a 12 o persino a 15 Stati membri,<br />

portava alla conseguenza che, al fine di garantire il successo di esso e quindi il reperimento di tale<br />

unanimità, si puntava sempre più a soluzioni al ribasso, che rendevano perciò necessario un sempre<br />

più ravvicinato ricorso a un nuovo trattato per soddisfare alle esigenze che quello precedente aveva<br />

disattese. In tal modo si produceva una situazione di continuo cambiamento, di conseguente incertezza<br />

del diritto negli Stati membri e anzi di un vero e proprio sospetto dei cittadini nei confronti di<br />

un’UE, che si temeva facesse questo non altro che per accentrare sempre più velocemente ogni potere<br />

nelle proprie mani. Se poi si pensava all’allargamento imminente, che avrebbe condotto in pochi<br />

anni a un’UE a più di 20 Stati membri, e alla conseguente elevazione all’ennesima potenza dei<br />

meccanismi già in atto sino allo scenario finale della paralisi dell’UE e del rigetto di essa da parte<br />

dei cittadini, diventava quanto mai chiara la necessità e anzi l’urgenza di addivenire subito a una<br />

semplificazione dei trattati accompagnata da una nuova procedura di revisione di essi.<br />

Tale duplice esigenza andava fatta valere unitariamente secondo questa prospettiva: la semplificazione<br />

e anzi la modernizzazione di trattati risalenti in qualche caso a mezzo secolo prima doveva<br />

andare certo in direzione di una vera e propria codificazione dei trattati ovvero a un’autenticazione<br />

giuridica delle versioni consolidate di essi, ma ciò non sarebbe bastato; si sarebbe dovuto procedere<br />

in realtà a una loro vera e propria fusione, almeno per quanto riguarda i due principali ossia il trattato<br />

CE e il trattato UE. Neanche questo peraltro sarebbe bastato, dato che la vera semplificazione,<br />

agli occhi dei cittadini, sarebbe stata costituita dall’offrire loro un trattato di base, fondamentale o<br />

costituzionale o una Costituzione, nella quale raccogliere le disposizioni di base, fondamentali o costituzionali<br />

già presenti nei due trattati CE e UE, e prevedere quindi un altro testo, ben distinto e anzi<br />

separato, in cui raccogliere le altre disposizioni dei due trattati CE e UE. Ciò avrebbe permesso di<br />

introdurre una gerarchia delle norme, trasformando queste ultime disposizioni da diritto primario in<br />

diritto derivato ovvero a una sorta di leggi organiche e, come tali, suscettibili di un nuovo tipo di<br />

procedura di revisione, basata sull’intervento delle sole istituzioni comunitarie (Commissione, Consiglio<br />

e PE) in base alla regola di una maggioranza (per quanto superqualificata) e in ogni caso senza<br />

bisogno di convocare nuove CIG, né, tanto meno, dar luogo ai processi di ratifica nazionali, par-

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