cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"
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azione allo sviluppo e aiuto umanitario; 2) l’elenco delle formazioni del Consiglio: a) “Affari generali<br />
e relazioni esterne” (con il ministro o un sottosegretario), b) “Economia e finanza”, c) “Giustizia<br />
e affari interni”, d) “Occupazione, politica sociale, salute e consumatori”, e) “Competitività<br />
(mercato interno, industria e ricerca)”, f) “Trasporti, telecomunicazioni ed energia”, g) “Agricoltura<br />
e pesca”, h) “Ambiente”, i) “Istruzione, gioventù e cultura”; 3) l’adozione da parte del Consiglio europeo,<br />
a partire dal dicembre 2003, di un programma strategico pluriennale per i tre anni successivi,<br />
nonché l’adozione da parte del Consiglio “Affari generali”, a partire dal dicembre 2002, di un programma<br />
operativo annuale delle attività del Consiglio, con l’elenco degli ordini del giorno per le diverse<br />
formazioni del Consiglio nel primo semestre, seguito, in giugno, da quello relativo al secondo<br />
semestre; 4) la cooperazione tra le due Presidenze annuali; 5) cinque gruppi all’interno del Segretariato<br />
generale del Consiglio (“comunicazioni elettroniche”, “informatica giuridica”, “codificazione<br />
legislativa”, “informazione”, “nuovi edifici”); 6) l’apertura al pubblico delle sessioni del Consiglio<br />
quando esso agisce in codecisione con il PE (presentazione da parte della Commissione delle sue<br />
principali proposte legislative in codecisione semestrali e dibattito seguente; votazione e dichiarazioni<br />
di voto) tramite sala di ascolto con trasmissioni in diretta e sito Internet del Consiglio per le<br />
trasmissioni in differita.<br />
In secondo luogo si prendeva posizione sul “trattato di Nizza” ossia sul processo di ratifica di esso e<br />
dunque sul problema dell’esito negativo del referendum irlandese. A questo proposito il Consiglio<br />
europeo prendeva atto dell’annuncio del primo ministro irlandese della volontà del suo governo di<br />
indire un nuovo referendum nell’autunno 2002 “per permettere all’Irlanda di ratificare il trattato di<br />
Nizza”. Questo richiamo alle urne veniva giustificato da una “Dichiarazione nazionale<br />
dell’Irlanda”, presentata al Consiglio europeo. Essa, in realtà, era rivolta piuttosto allo stesso popolo<br />
irlandese, allo scopo di rassicurarlo sul fatto che, già in base agli stessi trattati europei (compreso<br />
quello di Nizza), la PESD era condizionata al rispetto della Carta delle Nazioni Unite e quindi al riconoscimento<br />
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come unico organismo atto a mantenere<br />
la pace e la sicurezza internazionali, non pregiudicava il carattere specifico della politica di sicurezza<br />
e di difesa di taluni Stati membri (militarmente neutrali, come l’Irlanda), compreso il disimpegno<br />
a una difesa reciproca, e non implicava la creazione di un esercito europeo o di una difesa<br />
comune (a meno di un’adozione all’unanimità del Consiglio europeo), nonché che la partecipazione<br />
di contingenti irlandesi ad operazioni d’oltremare dell’UE avrebbe richiesto l’accordo del governo e<br />
l’approvazione del Parlamento irlandesi. Infine il governo irlandese comunicava che tale dichiarazione,<br />
nel caso di un esito positivo del secondo referendum in Irlanda, sarebbe stata acclusa allo<br />
strumento irlandese di ratifica del trattato di Nizza. A tale dichiarazione irlandese il Consiglio europeo<br />
rispondeva con una propria “Dichiarazione”, nella quale riconosceva l’esattezza e la legittimità<br />
delle affermazioni irlandesi nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati europei, confermando<br />
che la ratifica irlandese del trattato di Nizza non avrebbe minimamente modificato la situazione<br />
dell’Irlanda in rapporto alla PESD. 360<br />
In terzo luogo il Consiglio europeo di Siviglia si pronunciava proprio sulla stessa “PESD”, innanzi<br />
tutto adottando una “Dichiarazione del Consiglio europeo sul contributo della PESC, compresa la<br />
PESD, alla lotta contro il terrorismo”. A proposito della PESC, il Consiglio europeo comunicava<br />
che<br />
360 La “Dichiarazione nazionale dell’Irlanda” è un modello esemplare di come si dovrebbe affrontare, da parte di un governo,<br />
l’esito negativo di un referendum su un trattato europeo. Lungi dal ricorrere a sempre più numerose e impegnative<br />
“deroghe” (come avevano fatto e faranno, già in via preventiva, la Danimarca e soprattutto il Regno Unito) - che, nel<br />
caso irlandese, sarebbero state molto più giustificate di fronte all’esito negativo di un referendum effettivamente svolto -<br />
, il governo irlandese agiva anzi in senso inverso, dimostrando al proprio popolo, con poche e chiare argomentazioni<br />
giuridiche e con l’autorevole conferma del Consiglio europeo, che i timori erano assolutamente infondati. Solo tre anni<br />
dopo, tale modello esemplare non sarà purtroppo fatto proprio dai governi francese e olandese, che preferiranno, di<br />
fronte all’esito negativo dei rispettivi referendum del 2005 sul trattato costituzionale, trincerarsi anzi in una posizione<br />
sostanzialmente ignava, intrinsecamente contraddittoria e complessivamente irresponsabile sia verso l’UE, sia verso il<br />
rispettivo Stato.