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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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In altri termini il memorandum faceva presente molto semplicemente che, in presenza di una reale<br />

possibilità per gli ispettori di compiere il loro lavoro, non si poteva aprire una guerra senza prima<br />

aver trovato una sola prova della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq.<br />

La presenza, fra i firmatari di tale memorandum, di ben due membri permanenti con diritto di veto,<br />

rendeva automaticamente impossibile la messa ai voti della proposta di risoluzione. Di conseguenza<br />

veniva presentata il 7 marzo 2003 una seconda proposta di risoluzione, sempre da parte di Stati Uniti<br />

d’America, Regno Unito e Spagna, che diceva:<br />

“1. Riafferma la necessità di un pieno adempimento della risoluzione 1441 (2002);<br />

2. Richiama l’Iraq a prendere immediatamente le decisioni necessarie nell’interesse del suo popolo e della regione;<br />

3. Decide che l’Iraq avrà mancato di cogliere l’opportunità finale offertagli dalla risoluzione 1441 (2002), a meno che, il<br />

17 marzo 2003 o prima, il Consiglio concluda che l’Iraq ha dimostrato una cooperazione piena, incondizionata, immediata<br />

e <strong>attiva</strong> in accordo con gli obblighi di disarmo a norma della risoluzione 1441 (2002) e delle precedenti risoluzioni<br />

pertinenti, e sia ceduto il possesso all’UNMOVIC e all’IAEA di tutte le armi, di tutti i sistemi e le strutture di consegna<br />

e supporto di armi, proibite dalla risoluzione 687 (1991) e da tutte le successive risoluzioni pertinenti, e di ogni informazione<br />

riguardante la precedente distruzione di tali voci;”.<br />

La differenza consisteva nel fatto che ora si trattava davvero di un ultimatum, con scadenza non più<br />

coincidente con il tempo della sua emissione. Ma la distanza tra tale ultimatum, formalmente corretto,<br />

e la sua scadenza (dieci giorni) era, in rapporto a ciò che si esigeva fosse nel frattempo prodotto<br />

(la consegna delle armi di distruzione di massa presenti e dei registri di distruzione di quelle passate),<br />

talmente risibile, che, nei fatti, equivaleva a un’inevitabile dichiarazione di guerra. Perciò i firmatari<br />

del memorandum confermavano la propria posizione alternativa, impedendo la messa ai voti<br />

anche della seconda proposta di risoluzione.<br />

In questa perdurante paralisi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di discredito della<br />

stessa ONU, si svolgeva l’incontro, promosso da quest’ultima, dell’Aja del 10-11 marzo 2003 dedicato<br />

alla questione cipriota, il quale falliva così miseramente. A causa della posizione negativa del<br />

leader turco-cipriota non era stato possibile raggiungere un accordo per attuare il piano di referendum<br />

simultanei (proposto dal segretario generale dell’ONU), e perciò ai Turco-ciprioti e ai Grecociprioti<br />

era stata negata l’opportunità di decidere per se stessi su un piano che avrebbe permesso la<br />

riunificazione di Cipro e di conseguenza non sarebbe stato possibile conseguire un accordo complessivo<br />

prima del 16 aprile 2003 ossia della firma ad Atene del trattato d’adesione di Cipro all’UE.<br />

Scattava così la clausola stabilita dall’UE al Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999 ovvero<br />

la previsione della firma del trattato di adesione di Cipro all’UE anche senza una preliminare riunificazione<br />

politica dell’isola.<br />

In questa situazione drammatica di totale spaccatura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite,<br />

che trovava al suo centro il dissidio insanabile fra quattro Stati membri dell’UE (due da una parte e<br />

due dall’altra), il PE dava luogo, il 12 marzo 2003, a una memorabile discussione sull’Iraq. Essa era<br />

preceduta da due interventi, uno a nome del Consiglio e l’altro a nome della Commissione. Nel suo<br />

intervento, il presidente del Consiglio (il ministro degli esteri greco Georgios Andreas Papandreou<br />

(PASOK)) confermava: “La responsabilità primaria del disarmo dell’Iraq spetta al Consiglio di sicurezza.<br />

Naturalmente, noi – l’Unione – abbiamo i nostri pareri, ma è in sede di Nazioni Unite che<br />

si adottano le decisioni.” Ovvero: l’UE si rifiutava di prendere posizione sull’argomento, ma ribadiva<br />

che un’eventuale guerra avrebbe comunque dovuto essere decisa dal Consiglio di sicurezza delle<br />

Nazioni Unite. L’intervento del commissario per le relazioni esterne, il britannico Chris Patten<br />

(conservatore), era molto più esplicito, affermando fra l’altro:<br />

- occorreva che “tutti gli Stati membri riconoscano quello che le persone che svolgono effettivamente il lavoro della<br />

PESC hanno capito da molto tempo; ossia che un mero approccio intergovernativo è una ricetta che produce fragilità e<br />

mediocrità, una politica estera europea del minimo comun denominatore. Questa constatazione diventerà sempre più<br />

palese via via che l’Unione accetterà nuove adesioni”<br />

- anche per una PESC delegata ai cinque maggiori Stati membri: “in assenza di migliori meccanismi per indirizzare la<br />

volontà politica comune, essi hanno altrettante probabilità di condurre una politica di alto profilo incoerente”

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