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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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Consiglio e la trasparenza” il PE ribadiva che la nuova UE unificata doveva “privilegiare il metodo<br />

comunitario, rispetto a quello intergovernativo, nell’ambito delle procedure decisionali in tutti i<br />

campi d’azione dell’Unione”, insistendo perciò sull’obiettivo di “riequilibrio dei poteri delle istituzioni<br />

dell’Unione, mirante a conferire al Consiglio e al Parlamento il potere legislativo e alla Commissione<br />

il potere esecutivo” ed esigendo che di conseguenza “il Consiglio operi in modo trasparente<br />

quando esercita le funzioni di legislatore”. In tal modo il PE faceva presente alla Convenzione<br />

che la posizione del metodo comunitario come il metodo “regolare” della nuova UE unica rappresentava<br />

il secondo grande passo verso la Costituzione Europea. Nella seconda risoluzione “sulla delimitazione<br />

delle competenze tra l’Unione Europea e gli Stati membri”, il PE raccomandava di<br />

“procedere all’aggiornamento della ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri<br />

basata sui principi della sussidiarietà e della proporzionalità” nell’ambito di un quadro costituzionale,<br />

insistendo che, ai fini dell’attuazione delle competenze, venisse attuata pure “una efficace gerarchia<br />

delle norme” dell’UE con la distinzione tra “la norma legislativa” e “la norma di applicazione”<br />

e con la creazione di “un catalogo degli atti giuridici e degli altri strumenti d’intervento<br />

dell’Unione”. Per quanto riguarda il quadro generale delle competenze il PE proponeva di distinguere<br />

tre tipi di competenze: “la competenza di principio degli Stati”, “le competenze proprie attribuite<br />

all’Unione” e “le competenze comuni”. Per il primo tipo Il PE non riteneva necessario redigerne<br />

un elenco, mentre per il secondo tipo suggeriva di aggiungere alle competenze esistenti (politica<br />

doganale, relazioni economiche esterne, mercato interno, le “quattro libertà”, i servizi finanziari,<br />

politica della concorrenza, politiche strutturali e di coesione, accordi di associazione, politica<br />

monetaria per la zona euro) le seguenti tre nuove competenze: definizione e conduzione della PESC<br />

e della PESD, fondamento giuridico dello spazio comune di libertà e sicurezza e finanziamento del<br />

bilancio dell’Unione. Per il terzo tipo, più diffuso, di competenze ossia per le competenze comuni il<br />

PE le considerava suddivisibili in “tre tipi di settori: quelli in cui l’Unione fissa le regole generali,<br />

quelli in cui interviene solo in modo complementare e quelli in cui coordina le politiche nazionali. Il<br />

primo settore avrebbe dovuto riguardare due “categorie di materie”: “ quelle che costituiscono le<br />

politiche complementari o di accompagnamento dello spazio unico” (tutela dei consumatori, agricoltura,<br />

pesca, trasporti, reti trans europee, ambiente, ricerca e sviluppo tecnologico, energia, politica<br />

sociale e occupazionale, politica di immigrazione e altre politiche legate alla libera circolazione<br />

delle persone, promozione della parità tra uomini e donne, associazione dei Paesi e territori<br />

d’oltremare, cooperazione allo sviluppo e fiscalità legata al mercato unico), nonché “quelle relative<br />

all’attuazione della politica estera così come della politica di difesa e sicurezza, interna ed esterna,<br />

nella loro dimensione transnazionale”. Nel primo tipo di settore il PE riteneva che “la norma comunitaria<br />

sia giustificata qualora sia in gioco un interesse europeo”, ma anche che “gli Stati debbano<br />

mantenere la capacità di legiferare quando l’Unione non abbia ancora esercitato le sue prerogative”.<br />

Nel secondo tipo di settore l’UE avrebbe potuto agire invece “unicamente per completare l’azione<br />

degli Stati membri, che mantengono pertanto la competenza di diritto comune” nei seguenti campi:<br />

istruzione, formazione e gioventù, protezione civile, cultura, mezzi d’informazione, sport, sanità,<br />

industria e turismo, ma anche, secondo il PE, contratti civili e commerciali. Per il terzo tipo di settore<br />

il PE riteneva che “l’Unione abbia anche dei poteri e talvolta dei doveri giuridici in materia di<br />

coordinamento di politiche che rimangono fondamentalmente di competenza nazionale” ossia delle<br />

“politiche di bilancio e fiscali” nel quadro dell’UEM e delle “politiche dell’occupazione”. A questo<br />

proposito il PE era quanto mai critico sul fatto che “il “coordinamento aperto” delle politiche nazionali<br />

porta nuovamente confusione a livello di responsabilità politica” e insisteva affinché “questa<br />

procedura si affianchi a un autentico controllo parlamentare”. Infine il PE raccomandava di “prevedere<br />

una clausola evolutiva per evitare di fissare in modo rigido il sistema di ripartizione delle competenze”,<br />

permettendo la possibilità di “trasferimenti di competenze” nei due sensi ovvero sia verso<br />

l’UE, sia verso gli Stati membri, a seconda dell’esistenza o della cessata esistenza del “bisogno di<br />

un intervento comunitario” e proponendo comunque un “riesame generale” del sistema dieci anni<br />

dopo la sua applicazione. In tal modo il PE indicava alla Convenzione la terza mossa fondamentale<br />

verso la Costituzione Europea.

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