cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"
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- “non condividiamo il parere del Presidente degli Stati Uniti, secondo cui in questa fase la guerra contro l’Iraq è giustificata.<br />
La relazione presentata da Hans Blix al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite venerdì scorso non fornisce motivi<br />
per un intervento militare immediato. Al contrario, annuncia un considerevole disarmo e, pur riconoscendo che la cooperazione<br />
non è stata affatto immediata, la considera <strong>attiva</strong> e persino solerte. La relazione dimostra che le ispezioni producono<br />
risultati tangibili, sufficienti per concedere i mesi supplementari necessari per completare il disarmo iracheno.<br />
Togliere il terreno ad Hans Blix e ricorrere alla guerra ora sarebbe incomprensibile per l’opinione dei moderati di tutto<br />
il mondo.<br />
Vorrei invitare i nostri amici americani a fermarsi a riflettere, anche solo per pochi minuti, su alcune questioni fondamentali.<br />
Un cambio di regime in Iraq contribuirà a consegnare alla giustizia i terroristi di Al-Qaeda? Un cambiamento<br />
radicale in uno Stato arabo secolarizzato promuoverà la causa della pace tra Israele e Palestina? Il costo della vigilanza,<br />
della flessibilità e della pazienza continue non sarebbe forse inferiore al costo della guerra e della ricostruzione? Non<br />
dobbiamo sottovalutare gli incidenti di guerra, non solo gli incidenti umani, anche se sarebbero numerosi e costosi, ma<br />
anche gli incidenti diplomatici, dei quali la rottura dei negoziati di riconciliazione a Cipro è forse il primo.”<br />
- “Poiché hanno scelto la via delle Nazioni Unite per ottenere il disarmo dell’Iraq, decisione all’epoca accolta con grande<br />
favore dal mio gruppo, gli Stati Uniti devono tener fede all’approccio multilaterale. L’inosservanza da parte degli<br />
Stati Uniti di una decisione dell’ONU contraria a un intervento militare preventivo sferrerebbe un colpo potenzialmente<br />
fatale alle Nazioni Unite stesse. Non importa se tale decisione viene raggiunta a causa dell’incapacità di raccogliere i<br />
nove voti necessari o del veto francese o russo. L’opposizione a un veto sarà sempre meno ragionevole dell’imposizione<br />
di un veto. Tuttavia, le regole sono regole, e il sostegno delle Nazioni Unite a un intervento militare non dev’essere aggirato<br />
in ragione del fatto che un veto è “irragionevole”.<br />
Sarebbe molto meglio rinviare la votazione di un’eventuale nuova risoluzione finché non si riuscirà a raggiungere un<br />
risultato consensuale. Gli elementi per il consenso sono facilmente individuabili, se solo si riuscissero a mettere da parte<br />
le esigenze artificiose di un calendario militare prestabilito.”<br />
- “In conclusione, a Londra, Washington e Madrid si afferma che la guerra potrebbe essere breve, rapida e vittoriosa.<br />
Con il sostegno delle Nazioni Unite ciò potrebbe effettivamente accadere, ma in assenza di tale sostegno potremmo trovarci<br />
sull’orlo di un’altra guerra dei cent’anni, che potrebbe provocare la caduta di regimi ben oltre l’Iraq.”<br />
In conclusione tutte e tre le istituzioni comunitarie, Consiglio, Commissione e PE (almeno per<br />
quanto riguarda i tre principali gruppi parlamentari), prendevano, di fatto, una posizione comune<br />
almeno per quanto riguarda questo punto: nessuna guerra unilaterale senza il preventivo assenso del<br />
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o persino contro di esso.<br />
Frattanto la Convenzione poneva l’ultimo tassello alla sua fusione dei trattati: il Praesidium decideva<br />
infatti, il 14 marzo 2003, definitivamente, di non coinvolgere nella fusione dei trattati il trattato<br />
CEEA o EURATOM, anche se proponeva di sopprimere la personalità giuridica anche di tale Comunità,<br />
sostituendola anch’essa con l’unica personalità giuridica attribuita soltanto all’UE.<br />
Tuttavia la perdurante crisi della PESC (con la contrapposizione fra quattro Stati membri dell’UE in<br />
seno al Consiglio di sicurezza) poneva ancora più in risalto la necessità di rilanciare la stessa PESC<br />
attraverso un deciso rafforzamento della PESD e della sua capacità di realizzare operazioni militari<br />
di gestione delle crisi, soprattutto in Europa. Ma tale capacità era possibile solo attraverso un preciso<br />
accordo con la NATO (e dunque con gli Stati Uniti d’America), volto a realizzare uno sfruttamento<br />
delle capacità operative del Patto atlantico in ordine alla conduzione di operazioni militari<br />
sotto la responsabilità dell’UE, rilevando precedenti operazioni militari della NATO in aree di crisi,<br />
soprattutto nei Balcani occidentali. Così, allo scopo di porre in essere la prima operazione militare<br />
dell’UE, prevista in Macedonia, veniva firmato ad Atene il 14 marzo 2003 il Patto di sicurezza tra<br />
l’UE e la NATO, che, se metteva l’UE in condizione di dare la prima prova concreta della conseguita<br />
capacità militare della PESD, la poneva peraltro in un quadro di talmente stretta collaborazione<br />
politico-militare con la NATO e perciò con gli Stati Uniti d’America, da impedirle, nei confronti<br />
di questi ultimi e persino di due Stati membri dell’UE, il Regno Unito e la Spagna, di andare al di là<br />
di una mera dichiarazione di principio per quanto riguarda la questione irachena. E ciò finiva quindi<br />
per valere anche per lo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.<br />
Così, tre giorni dopo, allo scadere dell’ultimatum previsto dalla seconda proposta di risoluzione, il<br />
17 marzo 2003, i firmatari di essa, gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito e la Spagna, comunicavano<br />
il ritiro ufficiale di tale proposta e la decisione di assumere “propri provvedimenti” per disarmare<br />
l’Iraq ossia di scatenare una propria guerra, unilaterale e preventiva, contro l’Iraq. Come dire: