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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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In tal modo, sotto la nuova espressione, acc<strong>attiva</strong>nte quanto vaga, di “futuro dell’Unione”,<br />

all’insegna comunque della realizzazione di una nuova “legittimità democratica” dell’UE, era lanciato<br />

un “ampio dibattito”, che, a partire dallo stesso anno 2001, avrebbe dovuto coinvolgere “tutte<br />

le parti interessate”, compresi gli “esponenti della società civile”. Il modo di far confluire tale dibattito<br />

in una sede decisionale appropriata sarebbe stato deciso in base a una prevista “dichiarazione”<br />

del Consiglio europeo di Laeken nel dicembre 2001. In ogni caso i punti che avrebbero dovuto essere<br />

comunque presi in considerazione e decisi erano: a) la “delimitazione delle competenze” tra UE e<br />

Stati membri, b) lo “status della Carta dei <strong>diritti</strong> fondamentali” dell’UE, c) la “semplificazione dei<br />

trattati”, d) il “ruolo dei Parlamenti nazionali” nell’Unione. Al termine di tali “lavoratori preparatori”,<br />

si sarebbe svolta, nel 2004, una nuova CIG, che avrebbe condotto a un nuovo trattato emendativo.<br />

Con questa dichiarazione della CIG veniva così accolto, in gran parte, il piano d’azione del PE previsto<br />

nella sua risoluzione del 25 ottobre 2000, salvo una, peraltro decisiva, precisazione: “in vista<br />

delle corrispondenti modifiche dei trattati”. In altri termini: per quanto rivoluzionarie fossero tali<br />

modifiche, esse avrebbero dovuto venire recepite all’interno di un ennesimo trattato emendativo dei<br />

trattati istitutivi, che sarebbero perciò stati mantenuti nella loro pluralità.<br />

Complessivamente, dunque, l’intero dispositivo del trattato di Nizza si segnalava per la sua fondamentale<br />

ambiguità: da un alto vedeva scarse novità e anzi il trionfo di una logica spartitoria tra gli<br />

Stati membri presenti e futuri, e dall’altro lato apriva tuttavia la strada a un processo che avrebbe<br />

rivoluzionato, sia nella forma (l’”ampio dibattito”), sia nei contenuti (il processo di “costituzionalizzazione”),<br />

l’intera storia del processo d’integrazione europea. Ad aggravare tale ambiguità era<br />

inoltre la deliberata scelta di far avanzare il processo dell’enorme allargamento a 27 Stati membri<br />

indipendentemente dai tempi e dai risultati del dibattito “sul futuro dell’Unione Europea”.<br />

L’incrocio finale, in parte fortuito, fra questi tre elementi, ambizioni costituzionali, rivendicazioni<br />

nazionali e allargamento dell’UE, avrebbe comportato perciò il rischio di un infernale corto circuito,<br />

in cui avrebbe potuto smarrirsi il senso stesso della distinzione tra queste dimensioni nel sentimento,<br />

indistinto, ma profondo, della “eccessività” e dunque della “insostenibilità” della stessa<br />

nuova Unione.<br />

III. Verso la Convenzione sul futuro dell’Europa<br />

Subito dopo la firma del trattato di Nizza, veniva lanciato, il 7 marzo 2001, il dibattito sul futuro<br />

sviluppo dell’Unione Europea.<br />

Un mese dopo la firma del trattato di Nizza, si svolgeva poi il Consiglio europeo di Stoccolma del<br />

23-24 marzo 2001. Si trattava della “prima riunione annuale di primavera dedicata ai problemi economici<br />

e sociali”. Il tema principale di essa era la “sfida demografica”, rappresentata<br />

“dall’invecchiamento della popolazione con una quota sempre più ridotta di persone in età lavorativa”,<br />

almeno entro il 2010. Si prevedeva perciò che, a partire da tale data, ciò avrebbe creato “pressioni<br />

considerevoli sui sistemi previdenziali, in particolare sulle pensioni e sui sistemi di assistenza<br />

sanitaria e di assistenza agli anziani.” Pertanto, entro tale data, occorreva intervenire risolutamente,<br />

“aumentando i tassi di occupazione, riducendo il debito pubblico e adeguando i sistemi di protezione<br />

sociale, inclusi i regimi pensionistici.” Per quanto riguarda la prima modalità, si stabiliva<br />

l’obiettivo intermedio di raggiungere per il gennaio 2005 un tasso di occupazione del 67% in generale<br />

e l’obiettivo finale di raggiungere entro il 2010 un tasso medio di occupazione degli anziani<br />

(dai 55 ai 64 anni) del 50%. L’intera strategia di Lisbona (comprensiva degli indirizzi di massima<br />

per le politiche economiche e dei processi di Lussemburgo, Cardiff e Colonia) veniva dunque posta<br />

di fronte a questa nuova sfida: allargare la base lavorativa, compresa quella in età più avanzata, in<br />

misura sufficiente a impedire il collasso dei sistemi previdenziali, che, in ogni caso, avrebbero dovuto<br />

comunque essere rivisti in rapporto ai risultati conseguiti dalla strategia di Lisbona. A questo<br />

scopo il Consiglio europeo dava particolare risalto al processo di Cardiff ossia dell’innovazione,<br />

con contenuti, che, tuttora, mantengono un sapore “futuribile” di sconvolgente attualità. La riunione

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