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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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processi, di Lussemburgo (flessibilità) 289 e di Cardiff (innovazione) 290 , all’interno di un unico progetto<br />

globale, denominato “patto europeo per l’occupazione”. In tal modo, sotto questa denominazione<br />

complessiva, sarebbe stato possibile creare un’autentica politica economica e monetaria comune,<br />

all’altezza della realtà dell’UEM e dell’euro.<br />

Il processo di Colonia, vera chiave di volta di tale politica, si doveva fondare, operativamente, sul<br />

“dialogo macroeconomico” (= a livello UE) fra i diversi attori della politica monetaria (la BCE), finanziaria<br />

e di bilancio, nonché fiscale (i governi nazionali e dunque il Consiglio) e della politica salariale<br />

(parti sociali, ossia imprese e sindacati, europee), attraverso il coordinamento generale della<br />

Commissione. 291<br />

Sulla base di questo dialogo macroeconomico, si sarebbe potuta avviare una politica macroeconomica,<br />

che non avrebbe peraltro avuto effettive possibilità di successo, a meno che non si fossero<br />

realizzate anche “ampie riforme strutturali a livello di Comunità e di Stati membri” ossia una vera e<br />

propria armonizzazione delle legislazioni nazionali in base a precise direttive comunitarie, in particolare<br />

nel settore della politica fiscale. Occorreva perciò “strutturare i sistemi fiscali in Europa” ossia<br />

uniformarli, in particolare la “tassazione del risparmio”, al fine di evitare “la concorrenza fiscale”<br />

tra Stati membri (esiziale per un “mercato finanziario unico” e quindi per qualsiasi “politica macroeconomica”),<br />

attraverso direttive p.e. “sulla tassazione del reddito da capitale e sul regime fiscale<br />

degli interessi e dei canoni”.<br />

L’ambizione del colossale progetto del “processo di Colonia” e più in generale del “patto europeo<br />

per l’occupazione” era direttamente proporzionale alla consapevolezza dei rischi che altrimenti avrebbe<br />

corso l’intero processo di integrazione europea in presenza della sfida posta dalla realtà<br />

dell’UEM e dell’euro. Tale ambizione si misurava persino nel linguaggio usato, che, per evitare di<br />

parlare di vera e propria “politica economica comune” (non permessa dal trattato di Amsterdam),<br />

usava l’espressione “politica macroeconomica”. La scommessa sulla riuscita del “processo di Colonia”<br />

si giocava tutta peraltro su ben altri fattori.<br />

Infatti la sua premessa procedurale era il “dialogo macroeconomico”, che comportava il coinvolgimento<br />

anche delle parti sociali, imprenditori e sindacati, che sinora avevano conosciuto una dimensione<br />

essenzialmente nazionale. Anche a questo proposito, perciò, occorreva superare la dimensione<br />

puramente nazionale, rafforzando (come voleva il trattato di Amsterdam) “la cooperazione culturale<br />

e gli scambi culturali” al fine di creare “la consapevolezza di una comunanza culturale” europea<br />

(basata, in particolare su “una migliore conoscenza della cultura e della storia dei popoli europei”).<br />

Occorreva inoltre creare effettivamente, come previsto dal trattato, “uno spazio di libertà, sicurezza<br />

e giustizia”, ma soprattutto era giunto il momento di creare una “Carta dei <strong>diritti</strong> fondamentali<br />

dell’Unione europea” (come voluto da sempre dal PE). E infatti si affermava: “Il Consiglio europeo<br />

ritiene che, allo stato attuale dello sviluppo dell’Unione Europea, i <strong>diritti</strong> fondamentali vigenti a livello<br />

dell’Unione debbano essere raccolti in una Carta e in tal modo resi più manifesti”.<br />

L’intenzionalità era molto diversa ossia molto più blanda di quella politica del PE, ma intanto il<br />

289 A proposito del processo di Lussemburgo, il Consiglio europeo di Colonia proponeva p.e. di “rendere più incisiva<br />

dal punto di vista occupazionale la creazione di posti di lavoro nella parte del settore dei servizi ad alta intensità di manodopera”<br />

(p.e. i call center), attraverso l’introduzione di “aliquote IVA più basse per i servizi non transfrontalieri ad<br />

alta intensità di lavoro” (p.e. i call center nazionali).<br />

290 A proposito del processo di Cardiff il Consiglio europeo di Colonia programmava: 1) una propria riunione straordinaria<br />

sul tema “verso un’Europa dell’innovazione e dei saperi” in Portogallo nella primavera del 2000 (che avrebbe<br />

condotto al famoso “processo di Lisbona”), 2) massicci investimenti della BEI per la ricerca tecnologica a livello europeo<br />

(con il varo del progetto “Galileo”, il sistema di navigazione satellitare europeo), per gli investimenti in alta tecnologia<br />

delle piccole e medie imprese (in collaborazione con il FES), per la concessione di crediti nel risanamento urbano,<br />

nell’istruzione (“tutte le scuole devono essere dotate quanto prima dell’accesso a Internet” e il decollo dei programmi in<br />

presenza Socrates e Gioventù per l’Europa), nella sanità, nella tutela dell’ambiente (con la promozione delle energie<br />

rinnovabili e l’imposizione fiscale sui prodotti energetici ad impatto ambientale), per il sostegno allo sviluppo delle regioni<br />

(soprattutto quando, in seguito all’allargamento, sarebbero venute meno tali possibilità, in quanto dirottate a favore<br />

dei nuovi Stati membri), per i crediti ai Paesi candidati, ma soprattutto per le reti transeuropee.<br />

291 In tal modo il “dialogo sociale” europeo previsto dal trattato di Amsterdam diveniva elemento portante del “processo<br />

di Colonia” e quindi dell’intero “patto europeo per l’occupazione”.

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