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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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nale e del diritto internazionale”) sosteneva, fra l’altro, con accenti di assoluto lirismo nella fiducia<br />

incondizionata al “capo”:<br />

“Papa Giovanni Paolo II ha detto tramite il suo portavoce: “Chi decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici che il diritto<br />

internazionale mette a disposizione, si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia.”<br />

Il presidente degli Stati Uniti George Bush […] si assume senza dubbio tale responsabilità e, soprattutto, l’assume<br />

insieme ad altri. Oggi il presidente Bush ha detto: “Non abbiamo altra ambizione in Iraq se non quella di eliminare una<br />

minaccia e restituire il controllo di questo Paese al suo popolo.” Se questo è l’obiettivo, il nostro gruppo lo appoggia<br />

decisamente; si tratta di un argomento su cui non si può essere neutrali.”<br />

In altri termini: ciò che contava da allora in poi non era l’ONU, bensì le assicurazioni del presidente<br />

degli Stati Uniti, rispetto al quale era ammissibile un solo atteggiamento per l’UE: credergli senza<br />

riserve e seguirlo sino in fondo. Il capogruppo del PSE, Barón Crespo, si limitava, invece, a dire:<br />

“Di fronte a questa gravissima situazione, invitiamo ancora una volta i governi degli Stati membri dell’Unione e dei futuri<br />

Paesi membri a non partecipare a una guerra preventiva unilaterale, moralmente e legalmente dubbia e contraria<br />

all’opinione della maggioranza degli Europei.”<br />

Nella perdurante ingenuità di tutti circa ciò che stava per accadere, l’esponente socialista, pur così<br />

critico nei confronti dell’operazione politica americana di “spartizione del mercato della ricostruzione<br />

dell’Iraq” a favore di imprese americane in conflitto d’interessi con lo stesso vicepresidente<br />

degli Stati Uniti e dell’intento americano di “ridisegnare l’intera mappa del Medio Oriente”, proponeva<br />

peraltro che “il dittatore debba essere consegnato alla giustizia del Tribunale penale internazionale”,<br />

come se proprio la potenza mondiale che aveva rifiutato anche quest’ultimo potesse accettare<br />

di dargli un simile riconoscimento.<br />

Il capogruppo del PESDR, Watson, infine, aggiungeva un’importante osservazione sull’UE:<br />

“Questa crisi potrebbe rivelarsi un punto di svolta, se i nostri capi di Stato e di governo accetteranno finalmente la necessità<br />

di una politica estera comune e di una partecipazione unitaria dell’Unione europea al Consiglio di sicurezza<br />

dell’ONU, perché il problematico tribalismo dell’Europa significa che Washington avrà la meglio. Se c’è una lezione<br />

da imparare da questa crisi a Londra, Parigi, Berlino e Madrid, è che, se avessimo una politica estera e di sicurezza comune,<br />

prevarrebbe la nostra visione del mondo.”<br />

Ormai la frattura attraversava dunque lo stesso PE e si poneva invece un grande interrogativo su<br />

quale fosse la “visione del mondo” europea.<br />

I risultati di tale discussione parlamentare sulla guerra in Iraq furono portati al Consiglio europeo di<br />

Bruxelles del 20-21 marzo 2003 dal discorso del presidente del PE, Cox, che, nello stesso giorno 20<br />

marzo 2003, così si esprimeva davanti al Consiglio europeo:<br />

“E’ mio dovere sottolineare che il Parlamento Europeo ha sempre e fermamente preferito considerare la guerra una soluzione<br />

estrema e riporre la propria fiducia nella diplomazia multilaterale e nelle ispezioni degli armamenti sotto l’egida<br />

delle Nazioni Unite, nella convinzione che non fossero state esperite tutte le loro possibilità [come recitava lo stesso<br />

memorandum franco-tedesco-russo consegnato all’ONU]. E’ questo a tutt’oggi il parere di una maggioranza. Su questo<br />

tema, tuttavia, il Parlamento, riunito quest’oggi in seduta plenaria straordinaria a Bruxelles, si è trovato diviso, esattamente<br />

come il Consiglio europeo si è rivelato un “Consiglio diviso”. […]<br />

Le difficoltà degli ultimi giorni e settimane hanno rappresentato una sconfitta per un efficace multilateralismo sotto<br />

l’egida delle Nazioni Unite, una sconfitta per l’Unione Europea e una sconfitta per i rapporti transatlantici. […]<br />

Mi sia concesso rammentare ciò che il Trattato si attende dagli Stati membri: “Gli Stati membri sostengono <strong>attiva</strong>mente<br />

e senza riserve la politica estera e di sicurezza dell’Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca. Gli Stati<br />

membri operano congiuntamente per rafforzare e sviluppare la loro reciproca solidarietà politica. Essi si astengono da<br />

qualsiasi azione contraria agli interessi dell’Unione o tale da nuocere alla sua efficacia come elemento di coesione<br />

nelle relazioni internazionali. Il Consiglio provvede affinché questi principi siano rispettati.” (Articolo 11, paragrafo 2,<br />

del Trattato sull’Unione Europea). Ecco ciò che sancisce il Trattato.<br />

Nonostante l’impegno eccezionale della Presidenza greca, siamo stati incapaci di realizzare questo spirito di solidarietà<br />

reciproca. Non deve dunque sorprenderci il fatto che altri scelgano di ignorarci se noi stessi abbiamo deciso di ignorarci<br />

reciprocamente.

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