Relazioni Pol. - Strat. fra Oriente ed Occidente - Università di Trieste ...

La sua applicazione, e precisamente la successiva grande strategia di auto–
imposizione di un embargo verso l’estero e di xenofobia, arrivò in seguito fino a
proibire ai suoi cittadini sia di imparare una lingua straniera, sia di insegnare il Cinese
agli stranieri. Il suo picco, soprattutto, fu la decisione che, al fine di “prevenire ogni
commercio estero o contatto, una striscia di terra lunga 700 miglia e larga 30 miglia
fu devastata e bruciata, e la popolazione spostata all’interno del Paese”.
In un’epoca in cui le navi erano sia strumenti di guerra sia di commercio estero,
questo provvedimento significò lo smantellamento delle poche navi rimaste della
flotta, logorata gravemente dai suoi viaggi intorno al mondo, e la demolizione degli
arsenali, dei cantieri e dei porti.
Questo atteggiamento di difesa strettamente passiva — tipica dell’isolazionismo —
dominò la politica cinese nei secoli successivi, finché l’ultimo tentativo di applicarla
ancora, e precisamente la rivolta dei Boxers, finì in un fallimento, non essendo più
praticabile. Anche il Giappone adottò a periodi alterni la stessa politica isolazionista,
fino a quando le navi della Marina USA visitarono i suoi porti nel 1853.
In ambedue i casi, l’economia era, durante il periodo di isolazionismo, basata
soprattutto sull’agricoltura. Infatti, “fin tanto che i sistemi di irrigazione furono
manutenuti, i contadini furono ben nutriti e le carestie evitate, (e) non vi erano
esigenze di cambiamenti economici o politici.
Le istituzioni del Paese restarono come se fossero state conservate nell’ambra”.
L’auto-conservazione, senza una forte e bilanciata forza militare, necessaria
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