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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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che l’opera proustiana richiede al lettore una «réforme de l’entendement» 415 che<br />

coinvolga la sua stessa capacità di orientarsi in uno spazio-di-tempo, il cui senso<br />

non è kantianamente posto dal soggetto 416 , ma è il soggetto stesso, nel suo<br />

persistente affievolirsi e scomparire, nel suo essere privo d’ogni possibilità di<br />

salvazione. Sotto quest’ultimo riguardo ha ragione chi ha sostenuto che la<br />

Recherche si riprometterebbe di redimere dalla caducità e dal tempo perduto, se<br />

non fosse che la stessa creazione letteraria non perviene ad alcuno stato di<br />

permanente e definitiva redenzione 417 . Infatti, come si è già avuto modo di<br />

osservare, anche l’ambito della scrittura parrebbe minacciato dalla forza temibile<br />

e distruttiva del tempo, il quale, nonché ostacolare materialmente la stesura<br />

dell’opera, parrebbe volerne infirmare l’ispirazione medesima. Per sottrarsi<br />

all’incombere di tale minaccia, Proust parrebbe indotto ad impregnare le pagine<br />

che si affanna indefessamente a vergare di una sostanza silenziosa e diafana,<br />

simile a «gocce di luce» 418 , nei cui riflessi potersi vedere, «come attraverso una<br />

tempo che muta gli esseri non modifica l’immagine che di loro abbiamo serbata. Niente è più<br />

doloroso di questo contrasto fra l’alterazione degli esseri e la fissità del ricordo (…). Il fatto è che<br />

quanto sembra unico in una persona desiderata non appartiene ad essa» (M. Proust, Le Temps<br />

retrouvé, cit., p. 565; trad. it. pp. 687-688).<br />

415 V. Descombes, Proust, cit., p. 46.<br />

416 Cfr. I. Kant, Was heißt: sich im Denken orientieren?, in Id, Werkausgabe, Bd. V, hrsg. v. W.<br />

Weischendel, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1977; trad. it. di P. Del Santo, Che cosa significa<br />

orientarsi nel pensiero, in I. Kant, Che Cosa Significa Orientarsi nel Pensiero, Adelphi, Milano<br />

1996, pp. 45-66: «Nell’oscurità sono in grado di orientarmi in una stanza a me nota toccando un<br />

unico oggetto di cui ricordo la posizione. Ma è chiaro che in questo caso mi giovo<br />

esclusivamente della facoltà di determinare le posizioni in base ad un criterio di distinzione<br />

soggettivo, dal momento che non vedo affatto gli oggetti di cui devo determinare la posizione»<br />

(Ivi, pp. 48-49). E a questo proposito M. Heidegger opportunamente chiosava: «Kant non si<br />

propone di certo un’interpretazione tematica dell’orientamento. Egli vuole semplicemente<br />

mostrare che ogni orientamento necessita di un “principio soggettivo”. Ma “soggettivo”, qui,<br />

vuol dire a priori» e dunque vuol dire «determinatezza preventivamente limitata a un soggetto<br />

senza mondo» (Id., Sein und Zeit, Niemeyer, Tübingen 1927; trad. it. di P. Chiodi, Essere e<br />

tempo, Longanesi, Milano 1976, §23, p. 143). Quanto ad una possibile, effettiva, influenza del<br />

pensiero kantiano su Proust, mediata dal professor Alphonse Darlu, docente di filosofia al Liceo<br />

Condorcet, A. De Lattre si esprime con cautela, allorché ammette che un’eco, nelle pagine della<br />

Recherche, possa pur esserci delle riflessioni del filosofo prussiano, ma si tratterebbe comunque<br />

di «un’eco lontana e fortemente attenuata per la distanza fra i due spiriti, fra i luoghi, le<br />

sensibilità, le preoccupazioni» (Id., Les réalités individuelles et la mémoire, Corti, Paris 1981, pp.<br />

174-180, qui p. 175).<br />

417 Cfr. M. Piazza, Proust, la verità e il nichilismo, in La “Recherche” tra apocalisse e salvezza,<br />

cit., pp. 45-68, qui pp. 67-68; ma pure G. Genette, La question de l’écriture, in Recherche de<br />

Proust, éd. par G. Genette, Tz. Todorov, Seuil, Paris 1980, pp. 7-12, il quale sottolinea come il<br />

momento in cui l’arte tende ad una sua giustificazione segna il momento in cui l’opera entra in<br />

agonia.<br />

418 M. Proust, Notes sur la littérature et la critique, in Id., Contre Sainte-Beuve, cit., pp. 303-312,<br />

qui p. 309; trad. it. di P. Serini e M. Bongiovanni Bertini, Note sulla letteratura e la critica, in<br />

Contro Sainte-Beuve, cit., pp. 106-116, qui p. 112-113: «I libri sono opera della solitudine e figli<br />

del silenzio. I figli del silenzio nulla debbono avere di comune con i figli della parola (…). Da<br />

non dimenticare: la materia dei nostri libri, la sostanza delle nostre frasi dev’essere immateriale,<br />

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