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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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disegnare un cerchio che unisce con simmetrico rigore inizio e fine 1074 , si<br />

racchiude nella cristallizzazione di uno spazio nel quale a prevalere sul presente<br />

e sul futuro è l’alternarsi ultroneo dei ricordi, che serrano i limiti d’ogni flusso<br />

temporale. Liberata dal peso della durata, e per ciò stesso irrigidita<br />

nell’istantaneo, la memoria involontaria cattura «la distorsione del fenomeno che<br />

non è altro che fenomeno» 1075 , aderendo ad una raffigurazione del temporale<br />

compiaciuta della propria ripetitiva esattezza. L’anacronia durativa che mette in<br />

relazione il prima e il dopo, il presente ed il passato, fissa i fuochi dell’ellisse che<br />

la diegesi della Recherche continuamente ripassa, annullando gli intervalli delle<br />

distanze attraversate 1076 . Ciò implica l’imporsi di una ineluttabilità che esclude<br />

ogni alternativa, se non all’interno di una pre-visione che, nello sforzo di<br />

anticipare quanto è già accaduto, rende ogni istante totalmente altro e ancora<br />

identico.<br />

Questa espressione di economia poetica si riverbera, del resto, anche<br />

nella dimensione propriamente stilistica del dettato proustiano. Secondo Gérard<br />

Genette, ove l’autore francese si trova a dover stabilire un rapporto fra due<br />

oggetti, quanto ricorre è un rapporto di analogia; ma, a ben vedere, ciò che si<br />

1074 Cfr. J. Rousset, Forma e significato, cit., p. 148. Con analogo intento di mostrare il reciproco<br />

richiamarsi di inizio e fine nel romanzo proustiano, scrive P. Ricoeur, Tempo e racconto II, cit.,<br />

p. 221: «Il lettore di Dalla parte di Swann, privato dell’interpretazione retrospettiva che la<br />

conclusione del romanzo proietta sul suo inizio, non ha ancora alcun mezzo per mettere in<br />

parallelo la camera di Combray, nella quale una coscienza avverte, nel dormiveglia, la perdita<br />

della sua identità, del suo momento e del suo luogo, con la biblioteca dell’hôtel Guermantes,<br />

dove una coscienza vigile fino all’eccesso riceve una illuminazione decisiva». Se, d’altra parte,<br />

prosegue Ricoeur, si prende in esame l’episodio della madeleine, si avrà ulteriore conferma del<br />

decisivo legame che corre tra il principio e la fine della Recherche, giacché: «Se l’estasi della<br />

madeleine non è niente più che un segno premonitore della rivelazione finale, essa ne ha già<br />

quanto meno la forza, quella di aprire la porta del ricordo e di permettere il primo abbozzo del<br />

Tempo ritrovato: i racconti di Combray. (...). L’estasi della madeleine apre il tempo ritrovato<br />

dell’infanzia, come la meditazione nella biblioteca aprirà quello del tempo di verifica della<br />

vocazione finalmente riconosciuta. La simmetria tra il principio e la fine si rivela così essere il<br />

principio che dirige la composizione: se Combray è sorto dalla mia tazza di tè come il racconto<br />

della madeleine esce dai dormiveglia di una camera da letto, è nel modo in cui la meditazione<br />

nella biblioteca determinerà la serie delle verifiche ulteriori» (Ivi, pp. 224-225).<br />

1075 J. Garelli, De la cire de Descartes à la madeleine de Proust, in Id., Rythmes et mondes. Au<br />

Revers de l’Identité et de l’Altérité, Millon, Grenoble 1991, pp. 149-167, qui p. 158.<br />

1076 Al riguardo, P. Ricouer ha efficacemente affermato che: «Le Temps retrouvé è ripetizione»<br />

(Id., Tempo e racconto II, cit., p. 247, n. 106), richiamando a sostegno del proprio assunto il<br />

passo che sul finire del romanzo rievoca le atmosfere di Combray, la cui immagine,<br />

perpetuandosi nella lontananza, fa riconoscere lo stigma di un tempo sottratto ad ogni<br />

progressione durativa: «Di colpo [nella biblioteca di Palazzo Guermantes] pensai che qualora<br />

avessi avuto ancora la forza di portare a compimento la mia opera, quel ricevimento che oggi<br />

stesso – come nel passato, a Combray, certi giorni che avevano influito sulla mia vita – mi aveva<br />

dato al tempo stesso l’idea della mia opera e il timore di non poterla realizzare, sicuramente le<br />

avrebbe impresso innanzitutto la forma che avevo presentita una volta nella chiesa di Combray e<br />

che di solito ci rimane invisibile, quella del Tempo» (M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., pp. 621-<br />

622; trad. it. pp. 756-757)<br />

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