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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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offerta da Paci, le pagine proustiane, dovrebbe apprezzarsi soprattutto in ragione<br />

del ruolo attribuito a quelle rappresentazioni nelle quali si avrebbe una visione<br />

non soltanto di qualità sensibili contingenti, ma pure di «ciò che è lontano o<br />

assente o, in qualche modo, possibile» 352 , pur restando vincolato all’unità della<br />

vita sensibile e percettiva del proprio corpo 353 . A ben vedere, nell’economia di<br />

queste ultime considerazioni, una notevole importanza è assunta dalla lezione<br />

che alcuni anni prima Merleau-Ponty aveva tratto dalla lettura dell’opera<br />

proustiana 354 . Il richiamo alla nozione di “corpo” compiuto da Paci per definire il<br />

luogo di convergenza dell’intero novero delle percezioni che possono assorbirsi<br />

in una estetica dello spazio e del tempo concretamente determinati 355 , si coniuga<br />

infatti con le notazioni del filosofo francese tendenti a dimostrare come per<br />

Proust il corpo consenta il mantenersi, attraverso il tempo, del nostro rapporto<br />

con il passato. Segnatamente, nota Merleau-Ponty, «Proust descrive, nei due casi<br />

opposti della morte e del risveglio, il punto di congiunzione dello spirito e del<br />

corpo, descrive come, al risveglio, i nostri gesti riannodino un significato d’oltre<br />

tomba sulla dispersione del corpo addormentato, e come, viceversa, il significato<br />

si disgreghi nei tic dell’agonia» 356 . Il corpo fungerebbe da elemento di<br />

mediazione perché possa essere guadagnata una identità compiuta, dopo che<br />

l’incertezza elusiva dell’elemento pre-egoico sia gradualmente venuta meno nel<br />

trapassare dallo stato di sonno a quello di veglia:<br />

«E il mio corpo, il fianco sul quale ero appoggiato, custodi fedeli di un passato che il mio spirito<br />

non avrebbe mai dovuto dimenticare, mi ricordavano la fiamma della veilleuse di vetro di<br />

352<br />

E. Paci, Per una fenomenologia della musica, in Id., Relazioni e significati, vol. 3 cit., pp. 94-<br />

107, qui p. 99.<br />

353<br />

Cfr. E. Paci, Dialettica e intenzionalità nella critica e nella poesia, in Id., Relazioni e<br />

significati, vol. 3, cit., pp. 293-314, qui p. 307.<br />

354<br />

Per una più analitica considerazione del legame fra l’esperienza filosofica di Paci e quella di<br />

Merleau-Ponty, si rinvia a G. D. Neri, Paci e Merleau-Ponty. Una testimonianza e qualche<br />

riflessione, in Id., Il sensibile, la storia, l’arte, ombre corte, Verona 2003, pp. 165-170.<br />

355<br />

Ivi, p. 307: «[L’estetica comincia] nel modo concreto con il quale io vivo nello spazio e nel<br />

tempo causalmente determinati e nello spazio e nel tempo psichici e intersoggettivi, condizionati<br />

ma anche liberi, o, per lo meno, tali da permettere delle motivazioni, da perseguire dei fini che<br />

abbiano un significato, in generale, intersoggettivo e storico. Vedere, udire, parlare, sono atti con<br />

i quali io costituisco nella storia il mio mondo».<br />

356<br />

M. Merleau-Ponty, L'homme et l'adversité, in Id., Signes, cit.; trad. it. di G. Alfieri, L’uomo e<br />

l’avversità, in Segni, cit., pp. 294-317, qui p. 302. Di analogo avviso sono le osservazioni<br />

espresse da F. Rella, che pure tendono a sottolineare come l’ambiguità propria del tempo del<br />

risveglio sia la cifra autentica delle prime pagine della Recherche, poiché Proust proprio in<br />

questo istante si sarebbe calato, onde «dilatarlo di nuovo alle dimensioni di un’esperienza<br />

possibile, riconoscendo in esso, e nell’inquietitudine che lo accompagna, la memoria, la voce, lo<br />

sguardo, la ragione del corpo» (Id, Metamorfosi. Immagini del pensiero, Feltrinelli, Milano 1984,<br />

p. 88, ma cfr. l’intero capitolo, Il corpo e l’ombra, pp. 83-94). Ed inoltre si veda G. Genette,<br />

Proust palimpseste, in Id., Figures, Seuil, Paris 1966; trad. it. di F. Madonia, Proust palinsesto,<br />

in Figure. Retorica e strutturalismo, Einaudi, Torino 1969, pp. 36-62, in part. p. 47, dove si<br />

rammenta come sia Proust stesso, ne Le Temps retrouvé, cit., p. 623; trad. it. p. 759, a parlare di<br />

un «temps incorporé».<br />

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