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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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tutto esplicito nel prosieguo della sua argomentazione 462 , laddove, segnatamente,<br />

egli si premura di far osservare come l’essenza della indicazione risieda<br />

nell’unità descrittiva di atti giudicativi, costitutivi di oggetti di rimando, mentre<br />

l’espressione ha intrinsecamente un significato. Più esattamente, come si trae dal<br />

§ 2 della I delle Logische Untersuchungen, la struttura del rimando è fondata<br />

unicamente sulla forma indicativa, dal momento che «oggetti o stati di cose<br />

[Gegenstände oder Sachverhalte] qualsiasi indicano a chi ha conoscenza attuale<br />

del loro sussistere, la sussistenza di certi altri oggetti o stati di cose nel senso<br />

che la convinzione [Überzeugnis] dell’essere dei primi è da lui vissuta come<br />

motivo (e precisamente come motivo non evidente) per la convinzione o la<br />

supposizione dell’essere dei secondi» 463 ; mentre la forma espressiva, benché<br />

dotata di una struttura di rimando, non ha né un carattere empirico-associativo,<br />

né riguarda due esistenze. Essa, inoltre, ha una natura pubblica ed universale,<br />

comune con i segni linguistici la capacità di “indicare” (Hinweisen) quanto essi significhino. Ciò<br />

si spiegherebbe col fatto che le Logische Untersuchungen riterrebbero solo le espressioni<br />

linguistiche in grado di funzionare come autentici segni; nei testi del 1914, invece, i segni<br />

artificiali non linguistici fungerebbero da casi paradigmatici per tutti i “segni puri”, inclusi quelli<br />

linguistici. Più esattamente, se si legge il § 2 della I delle Logische Untersuchungen (pp. 31-32;<br />

trad. it. pp. 292-293), si può osservare che ad essere messo in risalto è l’elemento motivazionale<br />

che conduce dalla percezione d’un dato empirico alla credenza circa l’esistenza di un altro dato<br />

empirico o di una serie di circostanze contingenti. Nei testi del 1914, Husserl, al contrario,<br />

insisterebbe sul fatto che l’indicazione muove direttamente dal segno al significato, cioè senza<br />

l’intervento di una intenzione significante. Ciò implicherebbe da un lato che il segno in quanto<br />

tale sarebbe in sé significante, a prescindere da quanto possa dall’esterno concorrere affinché vi<br />

sia un legame tra il segno e il suo referente; ma soprattutto, esso significherebbe sulla base di una<br />

deliberazione autonoma della volontà, la quale da un lato rimanderebbe a una “intenzione<br />

significativa”, consistente nel deliberato rivolgersi a qualcosa, fosse un pensiero, una anamnesi,<br />

una fantasia, e dall’altro consisterebbe nel far svolgere la funzione di segno significante ad un<br />

oggetto sensibile. Ciascun autentico segno emergerebbe da tale combinazione di deliberazioni,<br />

ma, più in generale, si dovrà ammettere – sostiene Bernet – che Husserl guarda al significato<br />

come alla componente decisiva di un segno autentico, quella componente che fa sì che il segno<br />

funga da medium ovvero da strumento attraverso cui l’atto intenzionale si riferisce a qualcosa.<br />

(Id., Husserl’s Theory of Signs Revisited, in Edmund Husserl. Critical Assessments of Leading<br />

Philosophers, cit., vol. 4, pp. 112-133, qui pp. 114-117). Ma per un ulteriore confronto con la<br />

rivalutazione svolta da Husserl fra il 1908 e il 1914 circa la funzione segnica delle parole, si<br />

vedano i saggi di C. Sinigaglia, Zeichen und Bedeutung. Zu einer Umarbeitung der Sechsten<br />

Logischen Untersuchung, in «Husserl Studies», 14, 1998, pp. 179-217, in part. pp. 184-197 e di<br />

U. Melle, Signitive und signifikative Intentionen, in «Husserl Studies», 15, 1999, pp. 167-181.<br />

462 E. Husserl, Logische Untersuchungen, Zweiter Band: Untersuchungen zur Phänomenologie<br />

und Theorie der Erkenntnis. Erster Teil, cit., p. 42; trad. it. p. 302: «Se riflettiamo sul rapporto<br />

intercorrente tra espressione e significato e se a tal fine scomponiamo il vissuto, pur complesso<br />

ma anche internamente unitario, dell’espressione riempita di senso, nelle sue due componenti di<br />

“parola” e “senso”, la parola stessa ci appare allora in sé indifferente, il senso invece come ciò<br />

che si “ha di mira” con la parola, ciò che si intende per mezzo di questo segno; sembra così che<br />

l’espressione distolga da sé l’interesse per orientarlo sul significato, per rinviare ad esso. Ma<br />

questo rinvio non è un’indicazione nell’accezione da noi discussa. L’esistenza del segno non<br />

motiva l’esistenza, o più esattamente, la nostra convinzione dell’esistenza del significato».<br />

463 Ivi, p. 32; trad. it. pp. 292-293.<br />

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