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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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Vermeer 1130 , un quadro che invita a carpire il segreto «d’una bellezza che poteva<br />

bastare a se stessa» e che, nello stesso tempo, consegna ad una annientante<br />

disperazione chi coltivi l’ambizione di comprendere tale segreto e farlo<br />

proprio 1131 . La visione del quadro è in effetti esiziale: essa stronca l’osservatore<br />

con la sua perfetta esattezza 1132 ; una esattezza quasi sinistra, quasi mortifera 1133 .<br />

«La morte è troppo esatta» 1134 ; e troppo esatto è quel «piccolo lembo di muro<br />

giallo» che si è impresso sulla retina dello spettatore come una ossessione<br />

perturbante 1135 . Di fronte alla «précieuse matière» che contraddistingue il<br />

dettaglio, tanto minuto quanto accecante, del piccolo muro giallo, si compie quel<br />

processo stesso dell’apparire 1136 che promuove una forma di interrogazione la<br />

1130 Per una accurata disamina su codesto quadro del Maestro olandese in rapporto a quanto ne<br />

scrive Proust, si vedano in special modo: L. Renzi, Proust e Vermeer. Apologia<br />

dell’imprecisione, il Mulino, Bologna 1999; G. Macchia, Vermeer, o il silenzio della pittura, in<br />

Id., Tutti gli scritti su Proust, cit., pp. 181-196.<br />

1131 L’importanza di codesto dipinto per Proust è stata, anche a costo di qualche forzatura, posta<br />

in rilievo da P. Boyer, il quale non solo si è spinto a sostenere che la composizione della Veduta<br />

del Maestro olandese presenterebbe delle analogie stilistiche con l’architettura della Recherche,<br />

ma anche che l’ispirazione stessa che ha condotto Proust ad attendere al proprio capolavoro<br />

sarebbe sorta nel corso della visita ad una esposizione, allestita presso La Haye nel 1902, nella<br />

quale tale dipinto di Vermeer era in mostra (Id., Le petit pan de mur jaune. Sur Proust, Seuil,<br />

Paris 1987, in part. pp. 29-52).<br />

1132 Cfr. M. Proust, La Prisonnière, cit., pp. 692-693; trad. it. pp. 586-587.<br />

1133 A. Beretta Anguissola nelle note di commento che accompagnano l’edizione mondadoriana<br />

de La Prisonnière (M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, vol. 3, p. 988) ritiene che<br />

l’interesse di Proust verso la pittura di Vermeer fu coltivato ed accresciuto fra l’altro dalla lettura<br />

della serie di tre articoli che, sotto il titolo Le mystérieux Vermeer, il suo amico J.-L. Vaudoyer<br />

scrisse per «L’Opinion» fra la fine di aprile e la metà di maggio del 1921 ed ora riedita, come<br />

appendice, in D. Arasse, L’ambition de Vermeer, Société nouvelle Adam Biro, Paris 1993; trad.<br />

it. di V. Zini, L’ambizione di Vermeer, Einaudi, Torino 2006, pp. 122-136. In queste pagine di<br />

Vaudoyer lo scrittore – afferma Beretta Anguissola – deve avere trovato lo spunto per collegare<br />

la contemplazione di un quadro del suo prediletto pittore olandese alla dipartita di un uomo in<br />

particolare grazie alle annotazioni che collegano il colore di Vermeer al sangue, alla morte: «La<br />

pesantezza, lo spessore, la lentezza della materia, nei quadri di Vermeer, la compattezza<br />

drammatica, la crudele profondità di tono (…) ci procura spesso un’impressione simile a quella<br />

che si prova vedendo la superficie lustra e come ricoperta di vernice densa d’una ferita, oppure<br />

quando si vede, sul pavimento d’una cucina, la macchia prodotta dal sangue che cade e si<br />

espande, sotto un capo di selvaggina appeso» (J.-L. Vaudoyer, Le mystérieux Vermeer, cit., p.<br />

134).<br />

1134 E. M. Cioran, Précis de décomposition, Gallimard, Paris 1949; trad. it. di M. A. Rigoni,<br />

Sommario di decomposizione, Adelphi, Milano 1996, p. 22.<br />

1135 Cfr. M. Proust, La Prisonnière, cit., p. 692; trad. it. p. 587. Scrive, sul margine della<br />

riflessione di Heidegger, J. Derrida ne La vérité en peinture, Flammarion, Paris 1978; trad. it. di<br />

G. e D. Pozzi, La verità in pittura, Newton Compton, Roma 2005, p. 355: «Il rapporto che stacca<br />

l’essere dall’essente senza farne qualcosa d’altro, cioè un altro essente, ma soltanto un nulla, un<br />

non-essente che c’è senza esserci come essente presente, questo rapporto ha una certa<br />

connessione con l’ossessione».<br />

1136 M. Villela-Petit, L’affectivité de la couleur, in La voix des phénomènes. Contributions à une<br />

phénoménologie du sens et des affects, éd. par R. Brisart, R. Célis, Publications des facultés<br />

universitaires Saint-Louis Bruxelles 1995; trad. it. di R. Messori, L’affettività del colore, in<br />

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