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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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dimensione percettiva, resa esplicita dal nome 506 , conserva, pur nel dipanarsi<br />

della storia che si compie tra il primo e l’ultimo sguardo, un fondo di<br />

impenetrabilità che impedisce di ri-vedere il lampo dell’illuminazione in cui si è<br />

compiuta la rivelazione dell’esistente. Si dovrà quindi osservare che l’intervallo<br />

che corre tra il manifestarsi della vita e la possibilità ch’essa sia detta è votato ad<br />

una dilazione retroattiva, che, resa dapprima evidente dall’incongruenza fra una<br />

scrittura che è senza essere ancora cominciata, si acclara ulteriormente nella<br />

dispersione e nell’allontanamento che la Recherche stessa e il suo protagonista<br />

compiono nei confronti dei loro rispettivi referenti, dei nomi che dovrebbero<br />

indicarli 507 .<br />

Lo statuto che governa l’uso dei nomi è, per Proust, essenzialmente<br />

legato alla nostra immaginazione e al desiderio ch’essa possa, pur fugacemente,<br />

appagarsi, inverandosi 508 . Anche per questa ragione, mentre le “parole” si<br />

muovono in una dimensione semantica codificata e generalmente riconoscibile, i<br />

nomi si collocano sempre in una temporalità che li rende «grumosi, densi,<br />

incomprimibili» 509 , a mano a mano che il ricordo da essi suscitato nel restituire il<br />

passato 510 , incontri lo scacco di una perdurante inattualità, che perennemente<br />

vige entro la sfera desiderativa, motivandone gli slanci, ma dichiarandone pure<br />

l’inanità. Il contatto con la realtà fa dismagare con ripetuta costanza il fascino<br />

che suscitava quanto inizialmente il nome designava. Spinti – afferma lo scrittore<br />

– a credere che i nomi ci offrano «l’immagine dell’inconoscibile che vi abbiamo<br />

506 Correttamente, A. Bonomi fa osservare che in Proust, laddove le parole, presentando, delle<br />

cose, «una piccola immagine, nitida e consueta» (M. Proust, Du côté de chez Swann, cit., p. 380;<br />

trad. it. p. 468) «devono al loro carattere intersoggettivo, pubblico, la fissazione di un contenuto<br />

rappresentativo. I nomi, al contrario, si alimentano continuamente a un universo di<br />

accumulazione che rende problematiche procedure analoghe di fissazione» (Id., Lo spirito della<br />

narrazione, cit., p. 104).<br />

507 Cfr. L. Rampello, Marcel Proust. Questione di sguardi, in «il Verri», 3-4, 1987, pp. 19-31, in<br />

part. p. 24, dove, segnatamente, l’interprete scrive che nella Recherche «il futuro è un tempo<br />

anteriore, il tempo della costruzione dell’immagine del passato, che ogni frammento di presente<br />

ci offre sempre diversa, sempre nuovamente creata a partire dalla distruzione delle tracce<br />

precedenti».<br />

508 Cfr. M. Proust, Cahiers 32, in M. Proust, L’età dei nomi. Quaderni della “Recherche”, a c. di<br />

D. De Agostini e M. Ferraris, con la collaborazione di B. Brun, Mondadori, Milano 1985, p. 322:<br />

«Et comme il n’y a pour nous de réalité que dans , l’individualité, alors que tout ce<br />

que nous avons connu par l’intelligence et les sens nous paraît sans valeur, les êtres que nous<br />

identifions avec les noms nous paraissent des Réalités désirables».<br />

509 A. Bonomi, Le immagini dei nomi, cit., p. 174.<br />

510 Cfr. R. Barthes, Proust e i nomi, cit., p. 121: «Il Nome proprio dispone delle tre peculiari<br />

facoltà che il narratore riconosce alla reminiscenza: il potere di essenzializzazione (dal momento<br />

che esso designa un solo referente), il potere di citazione (dal momento che, proferendolo, si può<br />

evocare a piacimento tutta l’essenza racchiusa nel nome), il potere di esplorazione (dal momento<br />

che si “dà la stura” a un nome esattamente come si fa con i ricordi): il Nome proprio è in un certo<br />

senso la forma linguistica della reminiscenza».<br />

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