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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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afferma che l’intenzione significante troverebbe «nella mera percezione l’atto in<br />

cui si riempie in modo completamente adeguato [in der bloßen Wahrnehmung<br />

den Akt, in dem sie sich vollständig angemessen erfüllt]» 528 . All’opposto, questo<br />

passo esprimerebbe il valore d’eccezione conferito al nome proprio dalla teoria<br />

della conoscenza di Husserl: nel suo fungere da «rispondente significazionale<br />

della “semplice intuizione”, il nome proprio svolge un ruolo strategico, che è<br />

quello di aprire l’accesso significazionale a un riempimento che è il primo fra i<br />

riempimenti, ed è quello sulla base del quale tutti gli altri (i riempimenti<br />

“categoriali”) diventano esclusivamente possibili» 529 . Più propriamente, in virtù<br />

della sua capacità di realizzare, attraverso l’accesso ad un riempimento<br />

originario, un più diretto rapporto con le cose stesse, il nome, ed in modo<br />

particolare il nome proprio, consentirebbe di determinare una via d’accesso ad<br />

una dimensione proto-percettiva, la quale, in ogni manifestazione dell’apparire<br />

fenomenico, si rende visibile nell’invisibile, in quanto «Urpräsentation del<br />

Nichturpräsentierbar» 530 .<br />

Attorno alla nozione di “Urphänomen”: la presenza come assenza, la presenza<br />

nell’assenza<br />

«Sin dal momento in cui vogliamo esprimere qualche cosa noi stranamente la<br />

svalutiamo. Crediamo di esserci immersi nel più profondo dell’abisso, e invece quando torniamo<br />

alla superficie la goccia d’acqua sulla punta delle nostre dita pallide non somiglia più al mare<br />

donde veniamo. Crediamo di aver scoperto una caverna di meravigliosi tesori e quando risaliamo<br />

alla luce non abbiamo che pietre false e frammenti di vetro; e tuttavia nelle tenebre il tesoro<br />

seguita a brillare immutato» 531 .<br />

riguardo il nome circoscriverà sì quell’elemento di senso identico in virtù del quale possono trarsi<br />

tutte le rappresentazioni possibili d’un medesimo soggetto, ma senza che si giunga a creare un<br />

principio definitivo di stabilità. «L’inteso non è in questo caso qualcosa di puramente<br />

concettuale, ma un’unità mista, le cui componenti significative ideali devono poter essere<br />

arricchite costantemente dal senso attuale dell’esperienza» (Ea., Il significato del nome proprio in<br />

Husserl. Dalla fenomenologia statica alla fenomenologia genetica del significato empirico, in<br />

«Magazzino di filosofia», 13, 2004, pp. 8-31, qui pp. 15 e 28).<br />

528 Ivi, p. 659; trad. it. p. 433.<br />

529 J. Benoist, Le nom propre, in Id., Entre acte et sens. La théorie phénoménologique de la<br />

signification, Vrin, Paris 2002, pp. 227-240, qui p. 239.<br />

530 M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, cit. p. 231. Ma, poco prima, p. 230, si legge altresì:<br />

«Il senso è invisibile, ma l’invisibile non è il contrario del visibile: il visibile ha esso stesso una<br />

membratura di invisibile, e l’in-visibile è la contropartita segreta del visibile, non appare che in<br />

esso, è il Nichturpräsentierbar che mi viene presentato come tale nel mondo – non si può<br />

vedervelo, e ogni sforzo per vedervelo lo fa scomparire, ma esso è nella linea del visibile, ne è il<br />

fuoco virtuale, si iscrive in esso (in filigrana)».<br />

531 R. Musil, Die Verwirrungen des Zögligns Törleß, Wiener Verlag, Wien 1906; trad. it. di A.<br />

Rho, I turbamenti del giovane Törless, in R. Musil, Romanzi brevi, novelle e aforismi, Einaudi,<br />

Torino 1986, pp. 5-185, la frase riportata, tratta dal IV capitolo de Les trésor des humbles (1896)<br />

di M. Maeterlinck, è posta in esergo. Rispetto alla traduzione italiana si è apportata qualche<br />

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