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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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perennemente sottoposta alla variazione e alla moltiplicazione, sicché, come è<br />

ben manifesto in Proust 318 , a dover essere ammessa è la logica dell’ovunque e<br />

del nessun luogo, dell’io e del non-io, che trova la propria realizzazione soltanto<br />

in quella sfera che «è ancora l’esistenza stessa e non è ancora l’universo<br />

dell’oggettività» 319 . In luogo di una intenzionalità, che, nella celebre<br />

formulazione data da Jean-Paul Sartre, dovrebbe intendersi al modo di un<br />

«esplodere verso» 320 , si preferirà osservare che, entro la sfera iletica originaria,<br />

per il reciproco implicarsi, entro una dimensione nictemerale, di soggetto<br />

intenzionale e s-oggetto intenzionato, l’analisi fenomenologica parrebbe incline a<br />

tematizzare un atto intenzionale che si volge su se medesimo, aprendosi ad uno<br />

spazio privo di orizzonti, ad uno spazio deiscente. La “scena” che Husserl, a<br />

questa altezza della propria riflessione, invita, sebbene non esplicitamente, a<br />

pensare, non si arresta presso l’essenza irriducibilmente egoica dell’esperienza,<br />

ma si pone su un piano nel quale l’archi-fattualità stessa dell’io è scissa al<br />

«praticare effettivamente l’epoché fenomenologica (…) significa accettare di non vedere, sentire,<br />

pensare più alcunché di determinato, significa correre il rischio dell’illimitato, non soltanto in<br />

estensione ma pure in intensità, significa dunque per lo meno abbandonare se stesso come essere<br />

rappresentato, dacché in questo spazio illimitato nessuno può istallarsi ed abitare (…) » (Id., La<br />

vérité de l’apparence, in «La Part de l’Œil», 7, 1991, pp. 229-236, qui p. 236).<br />

318 Cfr. G. Brée, Du temps perdu au temps retrouvé. Introduction à l’œuvre de Marcel Proust,<br />

Les Belles Lettres, Paris 1950, p. 9: «L’intera Ricerca del tempo perduto si regge sul lungo<br />

soliloquio soggiacente, perché in sordina, dell’”io” del narratore. Questi a tutta prima si presenta<br />

a noi avviluppato e penetrato dall’oscurità, “uomo anfibio” emergente dai confini incerti del<br />

sonno e del risveglio, entro una camera chiusa. Il mondo fragile che il suo racconto evocherà<br />

resterà circondato da questa zona d’oscurità dalla quale, talora, dal profondo del sonno, il<br />

narratore riporterà una immagine, una sensazione, che sembrerà provenire da un tempo molto<br />

lontano».<br />

319 M. Foucault, “Introduction” a L. Binswanger, Le Rêve et l’Existence, de Brower, Paris 1954,<br />

poi in Id., Dits et éctrits, éd. par D. Defert e F. Ewald avec la coll. de J. Lagrange, Gallimard,<br />

Paris 1994, vol. I; trad. it. di M. Colò, Il sogno, Cortina, Milano 2003, pp. 60-61.<br />

320 J.-P. Sartre, Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l’intentionnalité, in Id.,<br />

Situations I, Gallimard, Paris 1947; trad. it. di D. Tarizzo, G. Tarizzo, A. Mattioli, G. Monicelli,<br />

M. Mauri, L. Arano Cogliati, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl:<br />

l’intenzionalità, in Id., Che cos’è letteratura?, il Saggiatore, Milano 1960, pp. 279-281, qui p.<br />

280. Sulla scorta di questo breve studio, G. Debenedetti ha più volte rimarcato la vicinanza tra la<br />

filosofia husserliana e la poetica proustiana, facendo, in particolare, riferimento, all’episodio,<br />

riportato da R. Hahn (Promenade, in «Cahiers Marcel Proust», 1, 1927; trad. it. di G. Scaraffia,<br />

La memoria involontaria, in G. Scaraffia, Marcel Proust, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1986,<br />

pp. 274-275), che presenta Proust intento a contemplare un cespo di rose del Bengala.<br />

Debenedetti, segnatamente, scrive: «Immobile, in una passività che vorrebbe rilasciarsi per<br />

raggiungere il massimo potere ricettivo, che insieme si contrae per esercitare il massimo di potere<br />

interrogativo, aspetta che quelle rose gli rivelino la loro essenza, per poterle trasfigurare in rose<br />

eterne. Torna subito in mente la metafora dell’”esplodere verso”, in cui Sartre ha tradotto l’idea<br />

husserliana di intenzionalità. Proust, davanti a quelle rose, sembra aspettare un simile evento, ma<br />

capovolto: dovranno essere le rose a “esplodere verso” di lui» (Id., Commemorazione provvisoria<br />

del personaggio-uomo, in Id., Proust, a c. di M. Lavaggetto, Bollati Boringhieri, Torino 2005,<br />

pp. 101-131, qui p. 105; ma si vedrà pure il saggio, Proust e Joyce, ivi, pp. 316-335, in part. pp.<br />

334-335).<br />

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