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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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necessariamente coimplicate, dunque a loro modo copercepite» 267 . Se mai,<br />

secondo Husserl, la riflessione di sé, che matura nel trascorrere da una<br />

autopercezione irriflessa ad una autopercezione riflessa, permette una migliore<br />

conoscenza dei propri atti egologici 268 . In tal senso, nel § 58 del II Libro delle<br />

Ideen, si osserva che «un uomo non si “conosce”, non “sa” cos’è; impara a<br />

conoscersi. L’”imparare a conoscersi” è la stessa cosa dello sviluppo<br />

dell’appercezione di sé, della costituzione del “Sé”, e quest’ultima si compie<br />

unitamente allo sviluppo del soggetto stesso» 269 . Quanto descrive Husserl,<br />

allorché delinea l’orizzonte iletico originario, sembrerebbe, pertanto, coincidere<br />

con la esplicitazione di una condizione di indistinzione, entro la quale si<br />

troverebbe il “Sé” dell’uomo, in attesa di poter essere gradualmente costituito e<br />

connotato 270 . Riguardato in tale prospettiva, l’esito cui sembrano giungere queste<br />

considerazioni non si discosterebbe da quanto, nel I Libro delle Ideen, Husserl<br />

sosteneva, affermando che l’io puro fosse «in sé e per sé indescrivibile: puro io e<br />

267 E. Husserl, Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934). Die C-Manuskripte, cit., p. 139.<br />

Poco oltre, p. 146, si può altresì leggere: «Autopercepire [Selbstwahrnemen] indica ora, qui<br />

propriamente lo Stesso [das Selbst] già esprime l’io-stesso [das Ich-Sebst], percepire me stesso,<br />

nell’indicare-me-stesso al mio-stesso- essere-interno».<br />

268 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie.<br />

Zweites Buch, cit., p. 251; trad. it. p. 252: «Il corso dei vissuti della coscienza pura è<br />

necessariamente un processo di sviluppo, lungo il quale l’io puro deve assumere la forma<br />

appercettiva dell’io personale, e deve quindi diventare il nucleo di intenzioni di ogni genere, le<br />

quali trovano la loro esibizione, il loro riempimento attraverso le serie di esperienze (…)».<br />

269 Ivi, p. 252; trad. it. p. 253. Su codesti assunti husserliani si appunterà la critica di J.-P. Sartre,<br />

per il quale l’atto irriflesso della riflessione che si dirige su di una coscienza riflessa non avrebbe<br />

alcun bisogno di modalizzarsi ancora egologicamente. «Nella misura in cui – scrive Sartre – la<br />

mia coscienza riflettente è coscienza di sé, essa è coscienza non posizionale. Diviene posizionale<br />

solo intenzionando la coscienza riflessa, la quale, anch’essa, non era coscienza posizionale di sé<br />

prima di essere riflessa. (…). Siamo dunque autorizzati a domandarci se l’Io che pensa è comune<br />

alle due coscienze sovrapposte o se non è piuttosto quello della coscienza riflessa. Ogni<br />

coscienza riflettente è infatti in se stessa irriflessa e occorre un atto nuovo di terzo grado per<br />

porla. (…) Ebbene, è fin troppo certo che l’Io dell’Io penso non è oggetto di una evidenza né<br />

apodittica né adeguata. Non è apodittica perché dicendo Io noi affermiamo molto di più di quanto<br />

non sappiamo. Non è adeguata perché l’Io si presenta come una realtà opaca di cui si dovrebbe<br />

sviluppare il contenuto» (Id., La trascendenza dell’Ego, cit., pp. 27 e 31). Più recentemente, J.<br />

Patocka ha rilevato che la maniera d’essere dell’io rispetto agli altri oggetti dovrebbe misurarsi<br />

nei termini di una impossibilità per l’io stesso di apparire nell’atto della percezione, poiché ciò<br />

significherebbe «estrarlo dalla connessione del progetto e della realizzazione (…). La riflessione<br />

dell’io deve avere un carattere del tutto diverso, essenzialmente pratico, originantesi nell’essenza<br />

inizialmente pratica del contesto della nostra vita». In tal senso, conclude Patocka, «il fenomeno<br />

non è il correlato d’una costituzione soggettiva, ma, al contrario, le possibilità “soggettive” stesse<br />

non divegono manifeste che “sul” [“sur”] fenomeno» (Id., Le subjectivisme de la<br />

phenomenologie husserlienne et l’exigence d’une phenomenologie asubjective, in Id., Qu’st-ce<br />

que la phénoménologie?, Millon, Grenoble 1988, pp. 217-248, qui p. 247).<br />

270 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie.<br />

Zweites Buch, cit., p. 253; trad. it. pp. 253-254: «All’inizio dell’esperienza non c’è ancora un<br />

“Sé” costituito, dato, disponibile come un oggetto. Il Sé è completamente nascosto a sé e agli<br />

altri, almeno per l’intuizione».<br />

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