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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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transzendentale Logik, che tale forma di intenzionalità si determina «sia che essa<br />

produca l’essere o l’apparire, sia quand’anche essa, nel suo fungere vitale, resti<br />

non tematica e non svelata, e quindi sottratta al [suo] sapere [ob Sein und Schein<br />

ergebenden, mag sie auch als lebendig fungierende unthematisch, unenthüllt und<br />

somit meinem Wissen entzogen sein]» 313 . L’intenzionalità anonima, quale cifra<br />

dell’autentica inspectio sui dell’io, parrebbe, pertanto, compiersi entro una<br />

ragione che vede l’io nell’impossibilità di fissarsi in una forma della pura<br />

identità, a favore, invece, di una legge della pura somiglianza, in virtù della quale<br />

«ogni figura è un’altra figura, è simile all’altra e ancora ad un’altra, e questa ad<br />

un’altra» 314 .<br />

L’io fungente nello spazio del sogno<br />

La prospettiva di pensiero che dominerebbe la dimensione<br />

dell’intenzionalità anonima è del tutto differente rispetto a quella che vige<br />

nell’ambito della «intenzionalità d’atto» 315 , in quanto coscienza tetica di un<br />

oggetto. Quanto qui prevale è infatti un orizzonte gnoseologico nel quale il<br />

«soggetto non ha più un di fronte» 316 , ma vive in una diffrazione di sé che<br />

coincide con lo spazio del pre-egoico, che Husserl tende di volta in volta a<br />

ricercare e a percorrere, consapevole che, tuttavia, non si possa far premio su un<br />

metodo fenomenologico per identificarlo, a meno che esso non accetti la sfida di<br />

revocare in dubbio la possibilità stessa di vedere e quindi di guadagnare una<br />

prospettiva affatto nuova 317 . A prevalere è una forma di realtà “anfibia”, perché<br />

il vecchio privilegio della conoscenza riflessiva, del pensiero pensante se medesimo, non poteva<br />

mancare di sparire; ma che, appunto per questo, si dava a un pensiero oggettivo la possibilità di<br />

percorrere l’uomo nella sua totalità, salvo a scoprirvi proprio ciò che non poteva mai essere dato<br />

alla sua riflessione e nemmeno alla sua coscienza: meccanismi oscuri, determinazioni senza<br />

figura, un intero panorama d’ombra che direttamente o indirettamente è stato chiamato<br />

l’inconscio» (Id., Le mots et le choses, Gallimard, Paris 1966; trad. it. di E. Panaitescu, Le parole<br />

e le cose, Rizzoli, Milano 1967, p. 351).<br />

313 E. Husserl, Formale und transzendentale Logik, cit., p. 242; trad. it. p. 291.<br />

314 M. Blanchot, Le Dehors, la nuit, in Id., L’espace littéraire, Gallimard, Paris 1955; trad. it. di<br />

G. Zanobetti, Il sonno, la notte, in Lo spazio letterario, Einaudi, Torino 1975, pp. 232-235.<br />

315 E. Husserl, Formale und transzendentale Logik, cit., p. 242; trad. it. p. 289.<br />

316 P. Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, Cortina, Milano 1999, p. 164.<br />

317 È questo un motivo assai rilevante nella meditazione fenomenologico-ontologica di E. Fink,<br />

che segnatamente parlò, nel già ricordato seminario del ’66-’67, di un vedere che si determina nel<br />

chiarore e pone fra colui che percepisce e ciò che viene percepito «una lontananza distanziante» e<br />

di un vedere che, invece, compiendosi nell’oscurità, «non possiede la distanza fra percipiente e<br />

percepito». Di quest’ultima evenienza, tuttavia, non si sarebbero potuti precisare ulteriormente i<br />

contenuti, potendosi soltanto constatare come in essa trovino luogo «le modalità dello sfuggire e<br />

dello sprofondare», il cui maggior approfondimento implicherebbe un cadere in una mera<br />

«mistica speculativa» (M. Heidegger, E. Fink, Discorso intorno ad Eraclito, cit., pp. 264 e 279).<br />

E, assumendo una posizione ancor più radicale, M. Richir ha significativamente osservato che<br />

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