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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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«contraddizione della sopravvivenza e del nulla», quale si consuma nell’animo<br />

del narratore lacerato dal lutto 1069 . In particolare, prendendo in esame il<br />

frammento manoscritto B.N. 16725 (folio 127rº) 1070 , si nota come:<br />

«Le grand fait, ce n’est pas ce que nos photographie, nos invocations, nos commémorations<br />

semblent nous faire croire: qu’elle est toujours là; le grand fait qu’il faut essayer de penser, c’est<br />

le contraire, c’est qu’elle n’y est plus, elle qui était là; c’est qu’elle ne nous connaît plus, elle que<br />

nous nous efforçons de croire qui nous regarde sur la photographie; c’est que nous ne la<br />

connaissons plus».<br />

Appare qui manifesta la carica d’esemplarità dell’arte fotografica nel<br />

compendiare quella doppia congiunzione fra passato e presente che si apre alla<br />

dimostrazione di una inconfutabile presenza, già, però, differita 1071 . Il valore da<br />

attribuire alla fotografia che ritrae la nonna del narratore si intreccia, attraverso la<br />

funzione di testimonianza che le è connaturata 1072 , con l’atto stesso di portare a<br />

compimento quell’impressione di plenitudine nella quale, per un istante, si<br />

realizza l’evento della memoria involontaria; ma parimenti, come l’immagine<br />

fotografica si determina unicamente in una impresa paradossale che salva il<br />

tempo dalla sparizione facendolo sparire 1073 , così la memoria involontaria non<br />

può che compiere ciò che è già compiuto. L’architettura della Recherche, nel suo<br />

l’inventario dei contenuti del Cahier 65 (N.A.Fr. 18315) curato da A. Eissen, in «Bulletin<br />

d’informations proustiennes», 18, 1987, pp. 31-36, in part. pp. 34-35.<br />

1069 M. Proust, Sodome et Gomorrhe, p. 156; trad. it. p. 912.<br />

1070 Il frammento è stato pubblicato nell’apparato critico che accompagna l’edizione di Albertine<br />

disparue contenuta in M. Proust, À la recherche du temps perdu, éd. par P. Clarac et A. Ferré,<br />

vol. III, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1954, 3 vol., p. 1109, ed è stato fatto oggetto<br />

di minuziosa analisi da parte di A. Eissen, La photographie de la grand-mère. Présence<br />

imaginaire du mort et travail du deuil, in «Bulletin d’informations proustiennes», 18, 1987, pp.<br />

61-65, in part. p. 63.<br />

1071 Come sostiene R. Barthes il “referente fotografico” indica la cosa che necessariamente è stata<br />

posta dinanzi all’obbiettivo. «Nella Fotografia (…) io non posso mai negare che la cosa è stata<br />

là. (…). Il nome del noema della Fotografia sarà quindi: “È stato”» (Id., La camera chiara, cit.,<br />

p. 78).<br />

1072 Cfr. M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., p. 485; trad. it. p. 591: «Ma poiché le forze possono<br />

mutarsi in nuove forze, poiché l’ardore che dura diventa luce e l’elettricità del fulmine può<br />

fotografare (…) lasciamo che il nostro corpo si disgreghi perché ogni nuova particella che se ne<br />

distacca va – luminosa, stavolta, e leggibile, per completarla al prezzo di sofferenze di cui altri,<br />

più dotati, non hanno bisogno, per renderla più solida a mano a mano che le emozioni sbriciolano<br />

la nostra vita – ad aggiungersi alla nostra opera».<br />

1073 P. Dubois, L’acte photographique, Nathan, Paris 1990; trad. it. di B. Valli, L’atto fotografico,<br />

QuattroVenti, Urbino 1996, p. 158: «E di questo dunque che si tratta in ogni fotografia: tagliare<br />

nel “vivo” per perpetuare il “morto”. Con un colpo di bisturi, decapitare il tempo, prelevare<br />

l’istante e imbalsamarlo sotto (sopra) delle bende di pellicola trasparente, in maniera piatta e ben<br />

in vista al fine di conservarlo e di preservarlo dalla propria perdita. Sottrarlo per meglio<br />

avvilupparlo e darlo da vedere per sempre. Strapparlo alla fuga ininterrotta che lo avrebbe portato<br />

alla dissoluzione per pietrificarlo una volta per tutte nelle sue apparenze catturate».<br />

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