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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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Da una lettura attenta al complessivo sviluppo della Recherche risulta perspicuo<br />

che laddove la madeleine, tanto quanto il piancito sconnesso, permettono il<br />

discoprimento di un legame profondo ed identificabile nell’ordine del reale, fra il<br />

presente e il passato 398 , nel caso degli alberi di Hudimesnil e dei campanili di<br />

Martinville il discoprimento concerne una dimensione puramente interiore al<br />

soggetto 399 , portata alla luce in modo affatto fortuito da un simulacro 400 , che si<br />

di altrettante leggi e idee, tentando di pensare, ossia di far uscire dalla penombra quel che avevo<br />

sentito, di convertirlo in un equivalente intellettuale» (corsivo mio).<br />

398 Cfr. Ivi, pp. 449-451; trad. it. pp. 548-550. S. Agosti avverte che, invero, fra l’epifania<br />

dischiusa dalla madeleine e quella dischiusa dalla sconnessione del pavé corre una differenza, in<br />

forza della quale, mentre la prima innesca un dipositivo che sì sollecita la memoria vitale del<br />

Narratore, ma non viene indagato nelle sue ragioni (cfr. Du côté de chez Swann, p. 47; trad. it.<br />

pp. 58-59), la seconda vede l’attuarsi di una razionalizzazione del suo significato, che coincide<br />

con la conclusione del libro. «Qui, l’epifania con rivelazione, sottoposta ad un accanito<br />

approfondimento concettuale, consente al Soggetto di razionalizzare cio di cui la madeleine si<br />

limitava a registrare la realtà: e cioè che la rivelazione contenuta nella sensazione non è altro che<br />

l’esperienza dell’essenza del tempo, “ di un po’ di tempo allo stato puro”, di un tempo, insomma,<br />

sottratto alla durata» (Id., Realtà e metafora, cit., p. 31).<br />

399 Gli episodi si trovano narrati, rispettivamente, in Du côté de chez Swann, cit., pp. 179-180;<br />

trad. it. pp. 220-222 e in À l’ombre des jeunes filles en fleurs, cit., p. 76-79; trad. it. pp. 869-872.<br />

Più esattamente sarebbe necessario parlare in luogo di un “discoprimento”, di un déchiffrement,;<br />

e ciò sulla base della stessa lettera de Le Temps retrouvé (pp. 458-459, trad. it. pp. 558-559; pp.<br />

469, trad. it. pp. 571-572; pp. 473-496, trad. it. pp. 577-604). Proprio sulla scorta di codesti passi,<br />

M. Bongiovanni Bertini ha sostenuto che «nell’arte del déchiffrement trovano un terreno comune<br />

non solo il poliziotto e il ladro, sensibili, per opposti motivi, agli stessi segni, ma anche<br />

l’illetterato e lo scrittore che trascurano entrambi, l’uno per ignoranza, l’altro per una scelta<br />

deliberata, le spiegazioni “ufficiali” dei fatti, per attenersi al criptolinguaggio degli indizi». Ne<br />

discende, osserva la Bongiovanni, che il carattere della decifrazione si compie, per Proust, nel<br />

reciproco implicarsi di tortura e salvezza, di accecamento e redenzione (Ea., Redenzione e<br />

metafora, Feltrinelli, Milano 1981, poi in Ea., Proust e la teoria del romanzo, cit., pp. 150-207,<br />

qui p. 196 e p. 200). In modo suggestivo, R. Bodei (Piramidi di tempo. Storia e teoria del déjà<br />

vu, il Mulino, Bologna 2006, pp. 100-101) ha a propria volta suggerito di paragonare l’episodio<br />

degli alberi di Hudimesnil ad una pagina di E. Bloch che recita: «Ognuno conosce il sentimento<br />

di aver dimenticato qualcosa nella sua vita cosciente, qualcosa che è rimasto a mezza strada e<br />

non è venuto alla luce. Ecco perché spesso sembra tanto importante ciò che si voleva dire proprio<br />

ora e che ci è sfuggito. Quando di lascia una camera in cui si è vissuto a lungo, ci si guarda<br />

intorno stranamente, prima di andarsene. Anche qui è rimasto qualcosa, che non si è afferrato. Lo<br />

si porta comunque con sé per ricominciare altrove» (Id., Spuren, Suhrkamp, Frankfurt a. M.<br />

1959; trad. it. di L. Boella, Tracce, Coliseum, Milano 1989, p. 96); ed è seguendo codesta<br />

analogia che si mostrano tanto più condivisibili le parole con le quali F. Orlando definisce<br />

l’episodio de À l’ombre des jeunes filles en fleurs, «l’unica esperienza di estasi metacronica che<br />

nella Recherche resti virtuale, incompresa, fallimentare» (Id., Proust, Saint-Beuve, e la ricerca in<br />

direzione sbagliata, in M. Proust, Contro Sainte-Beuve, Einaudi Tascabili, Torino 1991, pp. VII-<br />

XXXVII, qui p. XXXV).<br />

400 La nozione di simulacro è qui intesa d’accordo con quanto scrive P. Klossowski, il quale<br />

propriamente osserva ch’essa non pretende «di fissare ciò che di una esperienza presenta e dice;<br />

lungi dall’escludere il contraddittorio, esso lo implica naturalmente. (…). Ma, “comprendere” il<br />

simulacro o “invischiarvici”, non porta ad alcuna conseguenza: il simulacro, mirando alla<br />

complicità, risveglia in chi lo subisce un movimento che subito può scomparire; e parlarne non<br />

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