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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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l’efficacia, la “polifonia sintattica” della frase proustiana aderisce e sostiene<br />

l’intera archittettura dell’opera, contribuendo a farle assumere quella forma<br />

teleologicamente orientata, grazie alla quale «la fine del libro rende possibile e<br />

comprensibile l’esistenza del libro» 425 . Tale dialettica fra sintassi e narrazione<br />

parrebbe, tuttavia, ottenere la conferma della sua efficacia proprio allorquando la<br />

tensione che la percorre, si contrae, per quindi indebolirsi e svanire, come il<br />

profilo di certe cattedrali incompiute 426 . È stato al riguardo osservato da Robert<br />

esauriente ed esatta dell’oggetto. Lo stile non è qualcosa che venga aggiunto dal di fuori, ma è<br />

come una udibilità di rapporti intesi nel loro ordine» (Ivi, p. 58).<br />

425 J. Rousset, Forma e significato, cit., p. 154, il quale sottolinea ulteriormente come, nella<br />

circostanza che vuole che l’inizio della Recherche generi l’epilogo, «ieri ed oggi si trovano di<br />

colpo simultanei». Questa lettura dell’opera di Proust da parte di Rousset è stata giudicata da J.<br />

Derrida permeata da una sorta di “preformismo”, che si dimostrerebbe valido criterio<br />

ermeneutico dal momento che in Proust stesso «l’esigenza strutturale era costante e consapevole,<br />

e si manifestava attraverso miracoli di simmetria (né vera né falsa), di ricorrenza, di circolarità, di<br />

illuminazioni di rimado, di sovrapposizioni, senza adeguazione tra il primo e l’ultimo ecc. La<br />

teleolologia, in questo caso, non è proiezione del critico, ma tema dell’autore» (Id., Force et<br />

signification, in Id., L'écriture et la différance, cit.; trad. it. di G. Pozzi, Forza e significazione, in<br />

La scrittura e la differenza, cit., pp. 3-38, qui p. 28). Di diverso avviso era invece stato A. Gide,<br />

il quale, fra i primi lettori della Recherche, ne aveva a tutta prima tratto un giudizio piuttosto<br />

negativo, come emerge, nonché dall’epistolario con lo stesso Proust (M. Proust, Lettres à André<br />

Gide, Ides et Calendes, Paris 1949; trad. it. di L. Corradini, Lettere a André Gide, SE, Milano<br />

2000), da quanto egli scrive nel suo Journal alla data del 22 settembre 1938: «L’architettura, in<br />

Proust, è molto bella; ma succede spesso che, non togliendo egli nulla dell’impalcatura, questa<br />

acquisti maggiore importanza del monumento stesso, di cui lo sguardo, continuamente distratto<br />

dai particolari, non riesce più a cogliere l’insieme» (Id., Journal, Gallimard, Paris 1939; trad. it.<br />

di R. Arienta, Diario 1889-1913, 3 vol., Bompiani, Milano 1950, vol. III, p. 528). Ma sul legame<br />

assai stretto fra sintassi e narrazione, è stato soprattutto L. Spitzer ad essersi espresso<br />

esaurientemente, allorché ha rilevato che non si dovesse parlare di una ipertrofia del mezzo<br />

espressivo di fronte a contenuti non troppo complessi, la sintassi proustiana non essendo altro che<br />

la conseguenza di una crescita interiore delle esperienze. «Proust esprime al tempo stesso la<br />

casualità caotica della terra e la mente che la ordina da un superiore punto di vista. Una grande<br />

pace, un senso di eternità parla da queste strutture sintattiche, nonostante tutte le tensioni che vi<br />

erano state a bella posta inserite. (…). Si potrebbe pensare ad un paravento, con la sua esatta<br />

distinzione in scompartimenti, o forse alle quinte di un teatro. Il caos di ogni atto visivo viene<br />

articolato, nel suo equivalente linguistico, un periodo, secondo una limpida disposizione<br />

spaziale» (Id., Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, cit., pp. 249-251<br />

passim).<br />

426 Cfr. M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., p. 610; trad. it. p. 742: «(…) ci sono, in questi grandi<br />

libri, parti che si fa in tempo solo ad abbozzare, e che di certo non saranno mai finite a causa<br />

della vastità del piano dell’architetto. Quante grandi cattedrali rimangono incompiute!». L.<br />

Fraisse nell’importante studio sul motivo della cattedrale in Proust, L’œuvre cathédrale. Proust et<br />

l’architecture médiévale, Corti, Paris 1990, p. 111, ha sostenuto che l’immagine della cattedrale<br />

incompiuta possa essere giunta a Proust per analogia con quella del Libro di Mallarmé, che è «ad<br />

un tempo dovunque e da nessuna parte» (S. Mallarmé, Le Livre, instrument spirituel, in Id.,<br />

Divagations, Fasquelle, Paris 1897; trad. it. di V. Ramacciotti, Il Libro, strumento spirituale, in<br />

S. Mallarmé, Poesie e prose, Garzanti, Milano 2005, pp. 325-333, qui p. 333). Ma sulle analogie<br />

fra l’immagine del libro e le creazioni dell’architettura, cfr. pure M. Milovanovic, Les figure du<br />

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