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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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o mistica che sottragga la morte alla propria concretezza familiare e<br />

quotidiana 1103 . Anzi, confidare in una possibile trascendenza sarebbe del tutto<br />

insensato 1104 , tenuto conto del nostro perenne mutare, mediante il ripetersi<br />

costante della morte, nel corso stesso dell’esistenza 1105 . La morte, infatti, sembra<br />

poter raggiungere una sua definitività solo al termine di più ripetizioni,<br />

contraddistinte sempre da un elemento di imprevedibile novità 1106 . Queste<br />

ripetizioni proiettano immagini ciascuna a suo modo legata ad un particolare<br />

momento, del quale serbano, nella nostra memoria, il movimento di proiezione<br />

verso l’avvenire – «verso un avvenire divenuto a sua volta il passato» 1107 –,<br />

secondo i modi di una sedimentazione che nasce dal complesso sovrapporsi delle<br />

differenze che corrono fra quei ricordi che, evocati dal lutto, segmentano<br />

l’essere, e quelli che provvedono a ricostituirlo nella sua unità. Si potrebbe a tal<br />

proposito sottolineare una somiglianza fra l’elaborazione del lutto ed il processo<br />

cretivo: entrambi parrebbero infatti contraddistinguersi per un procedere a<br />

ritroso, che volge verso situazioni già da tempo trascorse. Ed invero, il<br />

riattraversare a poco a poco i tempi che hanno scandito la propria esistenza, onde<br />

assestarsi nella compiaciuta contemplazione di «una stagione morale prima<br />

d’allora sconosciuta» 1108 , si rispecchierebbe in quell’esercizio artistico che<br />

«esprime per gli altri e fa vedere a noi stessi la nostra propria vita, la vita che non<br />

può essere “osservata”, le cui apparenze, una volta osservate, hanno bisogno<br />

d’essere tradotte e, spesso, lette alla rovescia e decifrate con fatica» 1109 . Sarebbe<br />

tuttavia fallace il voler adottare una prospettiva romanticamente ispirata che<br />

tragga da questi ultimi rilievi la conclusione secondo cui l’opera d’arte si debba<br />

levare ad usbergo del proprio artefice di fronte alla morte, consegnandolo<br />

1103<br />

Cfr. M. Marc-Lipiansky, La Naissance du monde proustien dans “Jean Santeuil”, Nizet,<br />

Paris 1974, pp. 157-160.<br />

1104<br />

M. Proust, Albertine disparue, cit., p. 101; trad. it. p. 125: «Quando ragioniamo su quanto<br />

succederà dopo la nostra morte, non è ancora la nostra persona viva quella che, per errore,<br />

proiettiamo in quel tempo? E, in fin dei conti, rimpiangere che una donna che non esiste più<br />

ignori che abbiamo scoperto quel che lei faceva sei anni fa è tanto più ridicolo del desiderare che<br />

fra un secolo il pubblico parli ancora con favore di noi, che saremo morti?».<br />

1105<br />

Cfr. M. Proust, Sodome et Gomorrhe, cit., p. 253; trad. it. p. 89.<br />

1106<br />

M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., p. 615; trad. it. p. 749: «Quelle morti successive, così<br />

temute da un io che esse erano destinate ad annientare, così indifferenti, così dolci una volte che<br />

s’erano verificate e chi le aveva temute non era più là per sentirle, mi avevano aiutato da qualche<br />

tempo a capire quanto poco saggio sarebbe stato aver paura della morte».<br />

1107<br />

M. Proust, Albertine disparue, cit., p. 70; trad. it. pp. 88.<br />

1108<br />

Ivi, p. 68; trad. it. p. 85.<br />

1109<br />

M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., p. 475; trad. it. p. 578. Ma su questa analogia fra<br />

elaborazione del lutto e esperienza artistica, si vedano le minuziose osservazioni di A. La Roux-<br />

Kieken, Imaginaire et écriture de la mort dans l’œuvre de Marcel Proust, Champion, Paris 2005,<br />

in part. pp. 156-194; nonché quelle di P. Newman-Gordon, Mort de la personne, vie de l’œuvre,<br />

in «Bulletin de la Societé des Amis de Marcel Proust et des Amis de Combray», 42, 1992, pp.<br />

97-107, attente a sottolineare, giusta una prospettiva psicanalitica, come in Proust si osservi il<br />

tentativo di creare un’opera che funga da sbocco per un pensiero sempre morente e sempre<br />

resuscitante, secondo un tragitto che è insieme terapeutico e scritturale.<br />

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