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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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questa funzione si colloca, d’altra parte, una forma di idealità o di «generalità» 524<br />

che perterrebbe a ciascun nome e che farebbe sì ch’esso, al pari di ogni parola,<br />

«non [sia] vincolato all’intuizione particolare, ma appart[enga] ad una<br />

molteplicità infinita di intuizioni possibili» 525 . In un senso più generale, quindi,<br />

la spontenaità del pensiero assicurerebbe al nome un carattere del tutto diverso<br />

rispetto a quello che contraddistingue i rimandi associativi di natura segnica; un<br />

carattere che ricondurrebbe le forme di pensiero peculiari al nome ad una<br />

dimensione assolutamente priva di addentellati con una apparizione meramente<br />

sensibile dell’oggetto. Scrive al riguardo Husserl:<br />

«Quando, nel dare espressione alla percezione, diciamo foglio bianco, il foglio viene riconosciuto<br />

come bianco [weiß], o meglio come (foglio) bianco [weißes]. L’intenzione della parola bianco<br />

[weißes] coincide solo parzialmente con il momento-colore [Farbenmoment] dell’oggetto che si<br />

manifesta, nel significato resta una eccedenza, una forma che non trova nella manifestazione<br />

qualcosa in cui possa confermarsi. (Foglio) bianco vuol dire foglio che è bianco. E questa forma<br />

non si ripete forse a sua volta, pur restando celata, per il sostantivo “foglio”? Solo i significati<br />

delle sue proprietà unificati nel suo “concetto” terminano nella percezione; anche in questo caso<br />

l’oggetto intero viene riconosciuto come foglio, anche qui vi è una forma integrativa che contiene<br />

l’essere, anche se non come unica forma. La funzione riempiente della semplice percezione non<br />

può palesemente spingersi sino al punto di comprendere queste forme» 526 .<br />

Queste considerazioni, tuttavia, non parrebbero essere in contraddizione con<br />

quanto il medesimo dettato della Sesta ricerca logica fa osservare 527 , laddove<br />

524<br />

Ivi, p. 564; trad. it. pp. 329-330: «(…) i nomi propri hanno la loro “generalità”<br />

[“Allgemeinheit”] benché quando fungono in una denominazione attuale non vi sia eo ipso alcuna<br />

classificazione. Anch’essi, alla stregua di tutti gli altri nomi, non possono denominare qualcosa<br />

senza riconoscerla nella denominazione. (…). Ciascun nome non appartiene manifestamente né<br />

ad una percezione determinata, né ad una determinata immaginazione fantastica o raffigurazione<br />

immaginativa di altro genere. La stessa persona perviene a manifestazione in una molteplicità di<br />

intuizioni possibili, e tutte queste manifestazioni non posseggono un’unità meramente intuitiva,<br />

ma anche conoscitiva. Una singola manifestazione di una simile molteplicità intuitiva può<br />

trovarsi alla base di una denominazione di senso univoco per mezzo del nome proprio allo stesso<br />

modo di qualsiasi altra».<br />

525<br />

Ivi, p. 561; trad. it. p. 326.<br />

526<br />

Ivi, p. 660; trad. it. p. 434.<br />

527<br />

Sulla contraddittorietà delle riflessioni husserliane attorno al nome proprio e alle sue relazioni<br />

con il piano percettivo, si è soffermata L. Rizzoli, la quale, in particolare, osserva che, proprio<br />

fungendo da riempimento del significato, la percezione sensibile «non sarebbe in grado di<br />

conferirgli quel riferimento individuale, per garantirsi il quale Husserl le attribuisce tale funzione.<br />

Le determinazioni individuali dell’oggetto, di cui la percezione è portatrice in virtù della sua<br />

pienezza intuitiva, andrebbero comunque perse nella sintesi con l’intenzione significativa». Tale<br />

esito della riflessione husserliana sarebbe superato solo allorché essa approdi ad una concezione<br />

genetica del significato, la quale, attestando come le determinazioni di un oggetto sfuggano ad<br />

ogni concettualizzazione vera e propria, rende possibile la loro definizione sul piano<br />

“dell’esperienza in quanto esperienza”. Un piano che per l’appunto non può essere compreso in<br />

termini concettuali, ma che può almeno venire inteso per mezzo del nome proprio. Quest’ultimo,<br />

infatti, definisce l’appartenenza del “resto non concettualizzato” dell’intenzione propria ad un<br />

campo di rappresentazione e contribuisce a determinarne la referenza individuale. Sotto questo<br />

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