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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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designato che prende le mosse dalla categoria dei nomi sia propri che comuni,<br />

essendo ogni nome «un segno per [für] una rappresentazione generale, ed<br />

[essendo] questa a sua volta un segno per ciascuno degli oggetti che rientrano nel<br />

concetto astratto corrispondente» 457 . Il principio qui enunciato ratifica la regola<br />

secondo la quale c’è segno ogniqualvolta si stabilisca una relazione di rinvio,<br />

quando cioè aliquid stat pro aliquo 458 . Nondimeno, secondo Jacques Derrida,<br />

allorché nella I delle Logische Untersuchungen Husserl riprende quasi alla<br />

lettera quanto avesse scritto nel 1890, tornando a ripetere che «ogni segno è<br />

segno di qualche cosa [für etwas]» 459 , introduce nel medesimo tempo una<br />

«dissociazione» che renderebbe meno univoca la relazione di rinvio, prevista<br />

quale funzione precipua del segno. Il filosofo moravo, sostenendo che «non ogni<br />

segno ha un “significato” [Bedeutung], un “senso” [Sinn], che in esso “si<br />

esprime” [“ausgedrückt”]» 460 , indurrebbe, infatti, a supporre che si possa sapere<br />

implicitamente ciò che l’“esser-per” voglia dire, nel suo stare a significare<br />

l’“essere-al-posto-di”: «noi – scrive Derrida – dobbiamo comprendere<br />

familiarmente questa struttura di sostituzione o di rinvio perché in essa divenga<br />

poi intelligibile, forse dimostrata, l’eterogeneità tra il rinvio indicativo ed il<br />

rinvio espressivo» 461 . Tale distinzione è invero posta da Husserl in modo del<br />

457 E. Husserl, Zur Logik der Zeichen, cit., p. 340; trad. it. p. 61.<br />

458 R. Jakobson, Lo sviluppo della semiotica, cit., p. 56. Per una puntualizzazione su tale<br />

fondamentale definizione di ogni pratica semiotica, cfr. U. Eco, Il pensiero semiotico di<br />

Jakobson, in R. Jakobson, Studi, cit., pp. 7-32, in part. pp. 13-14. Al contempo E. Melandri ha<br />

sostenuto che «Husserl regredisce fino alle origini della semiologia (che cosa sia segno di<br />

qualcosa), mostrandone l’intero spettro delle derivazioni. In questo egli appare sopra tutto<br />

preoccupato di distinguere i due casi estremi, quello dei segni che hanno un significato, e sono<br />

quindi espressioni in senso autosemantico (Ausdrüke), e quelli che, pur comportando sempre un<br />

rimando al designato, non sono in se stessi significativi o autosemantici» (Id., Le “Ricerche<br />

Logiche” di Husserl. Introduzione e commento alla Prima ricerca, il Mulino, Bologna 1990, p.<br />

156)<br />

459 E. Husserl, Logische Untersuchungen, Zweiter Band: Untersuchungen zur Phänomenologie<br />

und Theorie der Erkenntnis. Erster Teil, cit., p. 30; trad. it. p. 291.<br />

460 Ivi, p. 30; trad. it. p. 291.<br />

461 J. Derrida, La voce e il fenomeno, cit., p. 54. Questa interpretazione è stata ampliata da R.<br />

Bernet, il quale ha inizialmente invitato a riflettere, senza ricorrere a principi di matrice<br />

metafisica, sul modo in cui Husserl distingue i diversi tipi di segno. Se ne trae che accanto ai<br />

“segni naturali”, vi sono quelli “artificiali non linguistici” e quelli “artificiali linguistici”. Questi<br />

ultimi hanno entrambi la caratteristica di “designare” (Bezeichnen), laddove i segni naturali non<br />

hanno tale caratteristica e comunque essi non sono da considerarsi come segni in senso stretto.<br />

Husserl tenderebbe a definire questi ultimi “indicazioni” (Anzeichen), mentre i segni artificiali<br />

linguistici sarebbero definiti con il termine di “espressione” (Ausdruck). Più problematica<br />

sarebbe la definizione dei segni artificiali non linguistici, i quali, se nelle Logische<br />

Untersuchungen, sarebbero paragonati ai segni naturali, e dunque sarebbero determinati come<br />

“indicazioni”, in una serie di quattro testi del 1914, raccolti sotto il titolo Ausdruck und Zeichen,<br />

e pubblicati nel tomo 2˚ del XX volume della Husserliana (E. Husserl, Logische<br />

Untersuchungen. Ergänzungsband. Zewiter Teil. Texte für die Neufassung der VI. Untersuchung.<br />

Zur Phänomenologie des Ausdrucks und Erkenntnis (1893/94-1921), hrsg. v. U. Melle, Springer,<br />

Dordrecht 2005, pp. 1-130), sarebbero detti “segni puri” (bloße Zeichen) (Ivi, p. 13), aventi in<br />

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