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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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la realtà effettiva, ma, parimenti, ad essa continuamente si richiama 35 . Sebbene<br />

sprofondandovi si arretri ad uno stadio di semiincoscienza, nel quale si è, in un<br />

medesimo tempo, sottoposti ad un processo di annientamento e di resurrezione 36 ,<br />

il sogno – per Proust – anticipa il potere dell'oblio, il quale, facendoci «assentare<br />

dal tempo» 37 , permette di «ritrovare l'essere che siamo stati» e di ricrearlo nella<br />

realtà grazie ad una sorta di memoria obliosa che risiede dentro di noi, pur<br />

essendo «sottratta ai nostri stessi sguardi» 38 . Si potrebbe, in questa prospettiva,<br />

riconoscere una vicinanza ideale fra la pagina proustiana e quella di Der Traum<br />

35 Ma, forse, sarebbe più corretto dire, con L.-J. Aulagne, che «il mondo degli oggetti, il quale è<br />

quello dell'opposizione tracciata fra noi e noi e fra noi e l'universo, occupa un luogo intermedio<br />

fra il mondo del sogno, dove tale doppia distinzione non si dà affatto, e il mondo dell'arte (ovvero<br />

d'ogni mondo nel quale noi ci sentiamo creatori), in cui esiste una partecipazione che non è<br />

affatto una fusione fra noi e noi, fra l'universo e noi» (Id., Essai sur le nocturne proustien.<br />

L'insomnie, le sommeil et les rêves dans À la recherche du temps perdu, in «Psyché», 35-36,<br />

1949, pp. 876-902, qui pp. 897-898).<br />

36 M. Proust, À l'ombre des jeunes filles en fleurs, in À la recherche du temps perdu, éd. par J.-Y.<br />

Tadié, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1988, vol. II, p. 177; trad. it. di G. Raboni,<br />

All'ombra delle fanciulle in fiore, in Alla ricerca del tempo perduto, a c. di L. De Maria,<br />

Mondadori, Milano 1983, vol. I., p. 993: «Si afferma che spesso, in sogno, vediamo degli<br />

animali, ma si dimentica di dire che, quasi sempre, noi stessi vi siamo un animale, sprovvisto di<br />

quella ragione che proietta sulle cose un lume di certezza; allo spettacolo della vita non offriamo,<br />

al contrario, che una visione incerta [douteuse] e continuamente annientata dall'oblio [anéantie<br />

par l'oubli], giacché la realtà precedente svanisce davanti a quella che le succede, come una<br />

proiezione di lanterna magica davanti all'immagine successiva quando si cambia la lastra».<br />

37 Ivi, p. 178; trad. it. p. 995: «Se è vero che il mare è stato, un tempo, il nostro ambiente vitale<br />

nel quale dobbiamo tornare a immergere il nostro sangue per recuperare le forze, altrettanto può<br />

dirsi dell'oblio, del nulla mentale [du néant mental]; sembra, allora, d'assentarsi dal tempo per<br />

qualche ora».<br />

38 Ivi, p. 4; trad. it. p. 778: «La parte migliore della nostra memoria è fuori di noi (...). Fuori di<br />

noi? Per essere più precisi, dentro di noi, ma sottratta ai nostri stessi sguardi, immersa in un oblio<br />

più o meno prolungato. Solo grazie a questo oblio possiamo, di tanto in tanto, ritrovare l'essere<br />

che siamo stati, metterci di fronte alle cose nella stessa posizione in cui era quell'essere, soffrire<br />

di nuovo, perché non siamo più noi, ma lui, e lui amava quello che oggi ci è indifferente. Alla<br />

luce piena della memoria abituale, le immagini del passato vanno a poco a poco sbiadendo,<br />

dileguano, non ne resta più nulla, non le ritroveremo più. O, meglio, non le ritroveremo più se<br />

qualche parola (...) non fosse rimasta accuratamente custodita nell'oblio». Sul reciproco<br />

intrecciarsi di memoria e oblio, Proust si era espresso fin dal 1913 quando aveva, poco prima<br />

dell'uscita presso Grasset di Du côté de chez Swann, concesso un'intervista a Élie Joseph Bois,<br />

uscita su «Le Temps» del 12 (datato 13) novembre, cfr. M. Proust, À la recherche du temps<br />

perdu (interview avec Élie Joseph Bois), in Id., Textes retrouvés, cit., pp. 215-220, in part. p. 218;<br />

trad. it. di M. Bongiovanni Bertini, Swann spiegato da Proust, in Scritti mondani e letterari, cit.,<br />

pp. 507-509, in part. p. 509. Del rilievo che tale elemento dovesse meritare giudicando della<br />

poetica proustiana, si avvide, fra i primi, W. Benjamin, il quale, in Zum Bilde Prousts, fece<br />

osservare che la nozione di "memoria involontaria" non potesse correttamente intendersi senza<br />

immaginare la Recherche come un arazzo di cui il ricordo fosse la trama e l'oblio l'ordito (Cfr.<br />

Id., Per un ritratto di Proust, cit., p. 28). Quanto al concetto di "memoria obliosa", cui si è fatto<br />

ricorso, si veda M. Blanchot, Oublieuse Mémoire, in Id., L'Entretien infini, Gallimard, Paris<br />

1969; trad. it. di R. Ferrara, Oublieuse Mémoire, in L'intrattenimento infinito, Einaudi, Torino<br />

1977, pp. 417-421.<br />

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