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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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des Zeichens]» e dall’altro «nel senso del concetto [im Sinne des Begriffs]» 451 . La<br />

distinzione fra quest’ultima forma di rappresentanza e la prima si pone in virtù<br />

del fatto che il rinvio non concerne qualcosa di “differente” rispetto al segno,<br />

bensì l’oggetto intuito, colto nei suoi caratteri generali. Ma, precisa Husserl,<br />

«in ogni caso si dovrà ammettere che abbiamo un diverso comportamento psichico se prendiamo<br />

qualcosa come ciò che è, o [se lo prendiamo] come un mero rappresentante (come mera<br />

“rappresentazione”) di qualcosa d’altro, perfino di qualcosa di non dato. Ciò vale per ogni tipo di<br />

rappresentanza. Se c’è un segno c’è ed ha effetto, (…), e se c’è, ha luogo così il caratteristico<br />

passaggio dell’interesse e del notare dal segno al designato. Ma se il designato non c’è, e non ci<br />

si discosta dal mero segno, che nondimeno è stato riconosciuto come segno, (…) lo stesso segno<br />

intuito ci appare con ciò pervaso di una certa coloritura [tingiert]» 452 .<br />

Parrebbe quindi che anche qualora si verta di una “rappresentanza nel senso del<br />

concetto” non ci si discosti dalla dimensione contraddistinta dall’elemento<br />

segnico né dal suo riconoscimento. Infatti, pure allorquando ci si trovi dinanzi ad<br />

un «segno vuoto» possono esplicarsi, in misura analoga a quanto possa<br />

riscontrarsi nelle rappresentazioni concettuali, quelle connessioni associative che<br />

consentono una comprensione piena delle diverse situazioni 453 . Ma invero tale<br />

ultima considerazione invita ad approfondire il compito che Husserl attribuisce<br />

al concetto di segno fin dallo scritto del 1890, Zur Logik der Zeichen 454 , nel<br />

quale la «funzione particolare di volgere primariamente il nostro rappresentare<br />

verso qualcosa d’altro» sia esso un contenuto o una disposizione di contenuti, di<br />

cui si legge nel Ms. K I 55 455 , è ascritta al segno in forma più estesa e specifica.<br />

Più esattamente, il «tentativo di classificazione delle categorie dei segni e di<br />

risposta alla questione di come la lingua, cioè il più importante fra i sistemi di<br />

segni in nostro possesso, “segue il pensiero e lo limita”» 456 , è promosso in Zur<br />

Logik der Zeichen a partire da una delucidazione sul rapporto tra il segno ed il<br />

451 Ivi, pp. 284 e 285; trad. it. pp. 41 e 42.<br />

452 Ivi, p. 288; trad. it. p. 45.<br />

453 Ivi, p. 289; trad. it. p. 45.<br />

454 Husserl E., Zur Logik der Zeichen (Semiotik), in Id., Philosophie der Arithmetik. Mit<br />

ergänzenden Texten (1890-1901), in Husserliana, Bd. XII, hrsg. v. L. Eley, Martinus Nijhoff,<br />

Den Hague 1970, pp. 340-373; trad. di L. Perucchi, Sulla logica dei segni. Semiotica, in E.<br />

Husserl, Semiotica, Spirali, Milano 1984, pp. 61-96.<br />

455 E. Husserl, Aufsätze und Rezensionen, cit., p. 284; trad. it. p. 41.<br />

456 R. Jakobson, Coup d’œil sur le développement de la sémiotique, Relazione d’apertura al 1°<br />

congresso della International association of semiotic studies, Milano, 2 giugno 1974; trad. di U.<br />

Volli, Lo sviluppo della semiotica, in R. Jakobson, Studi, Bompiani, Milano 1978, pp. 35-62, qui<br />

p. 40. In un analitico contributo sulla genealogia dello strutturalismo, e sui debiti che questo<br />

avrebbe contratto con la fenomenologia di Husserl, E. Holenstein ha osservato che la figura di<br />

Jakobson sopra tutte avrebbe raccolto il precipitato della lezione del filosofo moravo in<br />

particolare nella sua tensione anti-psicologista, nonché nella rivendicazione di una pura<br />

grammatica universale, collaterale al formarsi di una dottrina della significazione (Id., Jakobson<br />

and Husserl, in Edmund Husserl. Critical Assessments of Leading Philosophers, 5 vol., ed. by R.<br />

Bernet, D. Welton, G. Zavota, Routledge, London – New York 2005, vol. 4, pp. 11-43).<br />

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