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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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affermarsi una totale indistinzione fra ricordo e aspettazione. A partire dall’”ora<br />

vivente” è tuttavia derivabile la maggiore possibile vicinanza fra passato e<br />

futuro, poiché in relazione ad esso può stabilirsi la misura in cui tanto le<br />

intenzioni, pur “vuote”, delle protenzioni quanto quelle delle ritenzioni si trovino<br />

ad appartenere ad una comune datità processuale. Sebbene infatti si possa<br />

ammettere che il ricordo sia, in linea generale, maggiormente determinato di<br />

quanto non sia l’aspettazione, è ben vero che se ci trovassimo – sostiene Husserl<br />

– alla presenza di «un ricordo “perfetto”», dotato d’un indefettibile carattere<br />

memorativo, «tutto sarebbe chiaro», così come accadrebbe nel caso<br />

dell’aspettazione, ove essa fosse, in particolare, pensabile alla stregua di una<br />

«coscienza profetica», di una coscienza, cioè, che avesse «davanti agli occhi<br />

ogni singolo carattere dell’aspettazione di ciò che ha da venire: all’incirca come<br />

quando disponiamo di un piano determinato e, rappresentandoci intuitivamente<br />

ciò che abbiamo progettato, lo assumiamo, per così dire, in carne ed ossa come<br />

una realtà futura» 888 . Codeste tesi husserliane, sebbene enunciate in via<br />

puramente teorica, non perdono di efficacia in riferimento ad un ambito di<br />

temporalità che deve registrare al suo interno non soltanto l’appartenenza di tutti<br />

gli atti intenzionali all’unità d’una stessa coscienza, ma pure la differenza fra gli<br />

atti di presentazione e quelli di presentificazione, fra gli atti effettivamente<br />

compiuti e quelli soltanto immaginati; e ciò mantenendosi compreso nell’unità di<br />

una coscienza interna la quale vede gli atti intenzionali o i vissuti intenzionali<br />

attraverso le impressioni originarie e le loro modificazioni sia ritenzionali sia<br />

protenzionali e può quindi percepire, in quanto coscienza “impressionale”, sia il<br />

coglimento del “presente vivente” sia il modo di compimento dei suoi vissuti<br />

intenzionali 889 . Come emblematicamente mostra il caso delle protenzioni, il<br />

valore di tale differenza non è tuttavia di carattere ontologico. Per Husserl, «dati<br />

fenomenologici sono le apprensioni di tempo, i vissuti nei quali qualcosa di<br />

temporale in senso obiettivo appare», tant’è che i «dati di tempo» non sono<br />

«tempora essi stessi», non sono cioè tempi di cui vada dedotta la validità<br />

ontologica 890 . Se il tempo non fosse che nella datità assoluta del suo apparire, si<br />

dovrebbe ammettere un’assoluta eguaglianza fra libertà e coscienza del tempo,<br />

ossia una predisposizione di quest’ultima ad esplicitare ciò che è infinitamente<br />

potenziale, secondo un senso che assegna all’orizzonte intenzionale un’attualità<br />

mai conclusa, nella quale «l’oggetto è un continuum che si vive ma che contiene<br />

potenzialmente l’idea di una continuità perfettamente data, e quindi finita, in un<br />

processo che è infinito»; e ciò secondo un ordine di ragionamento che afferma<br />

l’attualità del possibile in quanto possibile, allo stesso modo in cui afferma che<br />

888 Ivi, p. 56; trad. it. p. 87.<br />

889 Cfr. R. Bernet, Conscience et existence, cit., pp. 12-13.<br />

890 E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewußtseins, cit., pp. 6-7; trad. it. pp. 45-46<br />

passim. E, ancora più perspicuamente, poco oltre si legge: «Non è nei contenuti “primari” che si<br />

costituisce l’obbiettività, ma nei caratteri apprensionali e nelle legalità d’essenza ad essi inerenti»<br />

(Ivi, p. 8; trad. it. p. 47).<br />

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