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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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presente passa, e passa a vantaggio di un nuovo presente» 647 . Qualora il passato<br />

dovesse sempre aspettare un nuovo presente, allora «l'antico presente non<br />

passerebbe mai, né il nuovo farebbe la sua comparsa. Un presente non<br />

passerebbe mai se non fosse "nello stesso tempo" passato e presente», così come<br />

il passato non sarebbe tale se non fosse «costituito (...) "nello stesso tempo" in<br />

cui è stato presente» 648 . Ma a ben vedere a questo primo paradosso ne segue un<br />

altro che stabilisce la coesistenza fra passato e presente: se ogni passato è<br />

contemporaneo al presente che è stato, «tutto il passato coesiste col nuovo<br />

presente rispetto al quale è ora passato» 649 . Da ciò deriva altresì il principio della<br />

preesistenza completa tra passato e presente, per la quale il passato, come sintesi<br />

del tempo di cui presente e futuro sono mere dimensioni, si costituisce come «un<br />

elemento puro, generale, a priori, di ogni tempo» 650 . Tuttavia, la possibilità di<br />

attingere a codesta dimensione originaria sarebbe preclusa all’uomo, come<br />

testimonia l’esperienza di Marcel, che pur situato, alla fine del romanzo, su «una<br />

piramide di tempo» che lui stesso è stato 651 , non può dar vita che ad un’opera<br />

compiuta-incompiuta, dal momento che egli sarebbe obbligato a proiettarla nel<br />

tempo da cui l’opera trae la propria necessità, ma quel tempo si sottrae ogni<br />

volta, essendo al modo di un passato che non fu mai presente. L’inafferrabilità<br />

dell’opera si muta così nel tempo immaginario, che rende colui che vi si espone<br />

«un essere immaginario, un’immagine errante, sempre là, sempre assente, fissa e<br />

convulsiva» 652 . Fluttuante nella propria incerta temporalità, l’uomo, sembra<br />

sostenere Proust, vive anelando una coincidenza con un tempo autentico, che<br />

pure non si compie mai e mai si disvela, se non al sopraggiungere della fine,<br />

quando ogni apparire dismaga, quando ormai è irrimediabilmente troppo tardi 653 :<br />

647<br />

G. Deleuze, Différence et répetition, Presses Universitaires de France, Paris 1968; trad. it. di<br />

G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano 1997, p. 110.<br />

648<br />

Ivi, p. 110.<br />

649<br />

Ivi, p. 110.<br />

650<br />

Ivi, p. 110.<br />

651<br />

M. Merleau-Ponty, “Préface” a Signes, cit.; trad. it. di G. Alfieri, Prefazione a Segni, cit., pp.<br />

23-62, qui p. 37: «Se penso, non è perché salto fuori del tempo in un mondo intelligibile, o<br />

perché ricreo ogni volta la significazione partendo dal nulla, ma perché la freccia del tempo<br />

trascina tutto con sé, fa in modo che i miei pensieri successivi, siano, in un senso secondo,<br />

simultanei, o almeno sconfinino legittimamente l’uno nell’altro. Così io funziono per<br />

costruzione; sono situato su una piramide di tempo che io stesso sono stato».<br />

652<br />

M. Blanchot, L’esperienza di Proust, cit., p. 25.<br />

653<br />

Come Husserl disse alla suora, Dott.ssa Abdelgundis Jägerschmitt, in occassione di un<br />

colloquio che ebbe con lei nel corso della sua ultima grave malattia: «Non sapevo che fosse così<br />

duro morire. Eppure mi sono talmente sforzato, lungo tutta la mia vita, di eliminare ogni<br />

futilità…! Proprio nel momento in cui sono così totalmente penetrato dal sentimento di essere<br />

responsabile di un compito, nel momento in cui, nelle conferenze di Vienna e di Praga, poi nel<br />

mio articolo (Die Krisis), mi sono per la prima volta espresso con una spontaneità così completa<br />

e in cui ho realizzato un debole inizio – è in questo momento che devo interrompere e lasciare il<br />

mio compito incompiuto. Proprio ora che arrivo al termine e che tutto è finito per me, so che<br />

devo riprendere tutto dall’inizio» (cit. in J. Derrida, Il problema della genesi nella filosofia di<br />

Husserl, cit., p. 285). «Resta – commentava a sua volta G. Bataille, leggendo questa<br />

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