PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA
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che contempli delle interruzioni, le quali, a loro volta, si dichiareranno nella serie<br />
delle modificazioni sopravvenute, rivelate da un vedere che può solo declinarsi<br />
al passato 642 .<br />
Capace di comprendere la opportunità di svolgere un esercizio<br />
speculativo che si impegni verso la scoperta delle “condizioni di possibilità” del<br />
mondo, piuttosto che nella sua “spiegazione”, la riflessione fenomenologica si<br />
accompagna alla letteratura nello sforzo di mostrare come «la coscienza fugga<br />
nel mondo», ricorrendo, se necessario, anche all’ambiguità ove questa si riveli<br />
più adeguata all’esigenza di esprimere i confini che la più alta ragione condivide<br />
con la non-ragione 643 , secondo un procedere che, in un lasso di tempo<br />
coincidente con la nostra esistenza, dall’incosciente e dall’insensibile muove<br />
verso l’incoscienza e l’insensibilità. Proust, sotto questo riguardo, assume con la<br />
sua opera un valore paradigmatico perché si insedia all’interno di codesto<br />
intervallo di tempo, partecipando direttamente di quel paradosso che innerva il<br />
nostro fluire nel presente vivente, ritrovando e ricreando ogni volta un mondo e<br />
un tempo perduti nella dispersione degli istanti 644 , almeno fino a quando il<br />
passato non si costituisce come a priori puro, sottratto alle istanze della<br />
rappresentazione e della manifestazione.<br />
«Abbiamo un bel sapere che gli anni passano, che la giovinezza lascia il posto alla vecchiaia, che<br />
anche le fortune e i troni più solidi crollano, che la celebrità è passeggera: il nostro modo di<br />
prendere lo stampo di questo universo mobile, trascinato dal Tempo, finisce invece con<br />
l’immobilizzarlo» 645 .<br />
L’immobilità su cui si sofferma in questo passo Proust, lungi dal poter essere<br />
considerata una mera astrazione del pensiero, dacché, per quanto le apparenze<br />
possano esercitare un’azione decettiva, nessuno potrebbe negare che «noi<br />
occupiamo un posto in continua crescita nel tempo» 646 , sembrerebbe incarnare<br />
quel paradosso che definisce la contemporaneità del passato con il presente che<br />
«è stato»; paradosso attraverso cui si può interpretare il “passato del presente”,<br />
quel passato «contemporaneo di sé come presente», in grazia del quale «ogni<br />
642 P. Valéry, Monsieur Taste, Gallimard, Paris 1958; trad. it. di L. Solaroli, Monsieur Taste, SE,<br />
Milano 1988, p. 97, che pur prosegue, affermando: «La differenza tra il vedere “attuale” e il<br />
vedere “ricordo” se è discontinua, e se il vedere attuale non la contiene tutta, si attribuisce ad un<br />
“tempo” intermedio. Questa ipotesi non è stata mai confutata». Per un commento a queste pagine<br />
di Valéry, si rinvia al saggio di G. Agamben, L’io, l’occhio, la voce, che figura come postfazione<br />
nell’edizione italiana citata, pp. 103-114.<br />
643 M. Merleau-Ponty, Le Roman et la métaphysique, in Id., Sens et non-sens, Gallimard, Paris<br />
1948; trad. it. di P. Caruso, Il romanzo e la metafisica, in Senso e non-senso, il Saggiatore,<br />
Milano 2004, pp. 45-60, qui pp. 46-47.<br />
644 Cfr. E. Lévinas, Noms Propres, Fata Morgana, Montpellier 1976; trad. it. di F. P. Ciglia, Nomi<br />
propri, Marietti, Casale Monferrato 1984, p. 131-136. Per una lettura di codeste pagine si rinvia a<br />
F. Sossi, Lévinas su Proust, in «Alfabeta», 59, 1984, p. 16.<br />
645 M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., p. 542; trad. it. p. 660.<br />
646 Ivi, p. 623; trad. it. p. 758.<br />
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