PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA
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egli stesso medium della rappresentazione all’interno del tempo dell’opera 668 ,<br />
laddove in Proust la contemporaneità di soggetto percipiente ed oggetto<br />
percepito non può mai darsi, mancando in senso assoluto una dimensione<br />
temporalmente stabile. Contrariamente a quanto possa constatarsi nell’opera di<br />
Joyce, racchiusa in una totalità che permette «di percorrere e di riconoscere il più<br />
668 Se ne trova conferma nel capitolo ottavo di Finnegan’s Wake, intitolato Anna Livia<br />
Plurabelle, nel quale si assiste alla graduale metamorfosi della voce garrula e pettegola di due<br />
lavandaie nel gorgoglio del fiume Liffey, fin quando non solo delle parole, ma anche d’ogni<br />
tratto umano non resta alcunché: «I feel as old as yonder elm [Mi sento vecchia come<br />
quell’elmlontano olmo]» – esclama una –, mentre l’altra bercia: «I feel as heavy as yonder stone<br />
[Mi sento greve come quel stonsasso]» (J. Joyce, Anna Livia Plurabelle, in Id. Finnegans Wake,<br />
Faber & Faber, London 1939; trad. it. di L. Schenoni, Anna Livia Plurabelle, Einaudi, Torino<br />
1996, p. 139). In effetti, è possibile trarre da queste pagine – ha osservato acutamente E. Broch –<br />
la dimostrazione di come l’essere tanto il soggetto quanto l’oggetto media della rappresentazione<br />
«provochi quella particolarissima disintegrazione dell’oggetto che è al tempo stesso una sua<br />
precisazione e che ha il suo corrispettivo solo nella disintegrazione della materia fisica in<br />
semplice funzione matematica, compiuta appunto dalla fisica moderna» (Id., James Joyce und<br />
die Gegenwart, in Id., Dichtung und erkennen, Rhein Verlag, Zürich 1955; trad. it. di S. Vertone,<br />
James Joyce e il presente, in Poesia e conoscenza, Lerici, Milano 1965, pp. 231-263, qui p. 249).<br />
E d’altronde l’intera diegesi di Finnegan’s Wake vedrà non solo un continuo cangiare degli<br />
episodi, dei capitoli, degli esempi, ma degli stessi personaggi, i quali, vengano essi dalla realtà o<br />
dalla fantasia, si contraggono gli uni con gli altri, mutando reciprocamente anche nei loro stessi<br />
nomi (Cfr. M. Butor, Esquisse d’un seuil pour Finnegan, in Id., Répertoire, cit.; trad. it. di P.<br />
Caruso, Schizzo d’una preparazione per Finnegan, in Repertorio, cit., pp. 231-246, qui pp. 239-<br />
240). In forma analoga, nel saggio James Joyce und sein “Ulysses”, E. R. Curtius ha sostenuto<br />
che la relativizzazione di tutti gli ordinamenti fissi «è forse la prospettiva di pensiero più ampia<br />
dalla quale si può osservare l’opera di Joyce. Relatività dello spazio e del tempo, dell’attuale e<br />
del potenziale, della personalità, della sessualità, della vita e della morte», onde pervenire ad una<br />
forma di assoluto «relativismo estetico» (Id., Kritische Essays zur europäischen Literatur,<br />
Francke Verlag, Bern 1954; trad. it. di L. Ritter Santini, James Joyce e il suo “Ulisse”, in Studi di<br />
letteratura europea, il Mulino, Bologna 1963, pp. 331-361, qui pp. 355-356). Ma, a ben vedere,<br />
codesta forma di relativismo si combina con una visione del tempo che sperimenta sì il<br />
cambiamento, «ma dal di dentro. Il lettore e l’autore si muovono verso un possesso del tempo,<br />
ma all’interno del flusso. Se c’è una legge del decorso storico essa non può dunque essere cercata<br />
al di fuori, e la proposta è già determinata dall’individualissimo punto di vista in cui, all’interno<br />
dello sviluppo, ci troviamo situati» (U. Eco, Le poetiche di Joyce, Bompiani, Milano 1966, pp.<br />
77-78, ma si veda l’intero capitolo, La poetica dell’ordo rethoricus, pp. 77-97). Per una ulteriore<br />
e più ampia disamina del problema del tempo in diverse esperienze letterarie, fra cui quella<br />
joyceiena, si rinvia alle puntuali osservazioni di H. Meyerhoff, il quale sottolinea, fra l’altro,<br />
come il Finnegan’s Wake, iniziando e terminando in medias res, intende mostrare che il principio<br />
e la fine dello scorrere del tempo e della vita formano un’unità all’interno di una sconcertante<br />
molteplicità (Id., Time in Litterature, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1955,<br />
in part. pp. 39-40), o, come ancor meglio afferma lo stesso Joyce, si tratta di un’opera che<br />
vorrebbe trascendere la realtà, gli individui, l’eternità e il pensiero, per entrare «nella sfera<br />
dell’astrazione assoluta», nella quale «non esiste un’azione lineare nel tempo…Da qualunque<br />
parte il libro cominci, lì anche finisce» (A. Hoffmeister, Osobnst James Joyce, in « Rozpravy<br />
Aventina», VI, 1930-1931, intervista poi riedita, in traduzione inglese, da M. Woods, con il<br />
titolo, The Game of Evening. A rare interview with James Joyce, in «Granta», 89, 2005; trad. it.<br />
di L. Lepetit, Il gioco della sera. Conversazione con James Joyce, Nottetempo, Roma 2007, qui<br />
p. 20).<br />
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