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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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marine dipinte da Elstir, ne colgono il recondito fascino nella capacità di rendere<br />

quanto esse rappresentino con un sottile gioco metamorfico, analogo a ciò che<br />

«in poesia si chiama metafora» 698 . In quelle tele – afferma Proust – «una delle<br />

metafore più frequenti (...) era appunto quella che, paragonando l’una all’altro,<br />

sopprimeva ogni demarcazione fra la terra e il mare» 699 , sicché si aveva<br />

l’impressione che l’artista fosse stato in grado di trasfigurare la realtà al punto da<br />

insinuare una sorta di «“doppio” mentale», capace d’evitare di compiere lo<br />

sforzo d’escludere dal campo visivo tutto ciò che potesse far vacillare la sua<br />

«certezza di contemplare l’onda immemoriale la cui vita misteriosa si svolgeva<br />

già prima dell’apparizione della specie umana», in un evo in cui gli stessi<br />

elementi della terra e dell’acqua cominciavano appena a separarsi 700 . L’arte di<br />

Elstir si era, in quei quadri, misurata con lo spettacolo di una natura rutilante di<br />

luce, che aveva come distrutto la realtà, onde concentrarla «in creature buie e<br />

trasparenti che, per contrasto, davano un’impressione di vita più avvincente, più<br />

vicina: le ombre» 701 . Queste, a loro volta, non possono essere colte da uno<br />

sguardo analitico, ossia che si concentri e limiti in una individuazione isolata, ma<br />

proprio allorquando sono assorbite in una rappresentazione artistica 702 , inducono<br />

a procedere ad una “sintesi di transizione”, la quale è chiamata non a collegare<br />

«delle prospettive discrete, ma ad effettua[re] il “trapasso” dall’una all’altra» 703 ,<br />

adeguandosi a quella medesima sinergia sensoriale che contraddistingue<br />

l’esperienza sinestetica 704 . Al riguardo quanto afferma Proust in Le Temps<br />

retrouvé è estremamente significativo. Egli sostiene che «ciò che noi chiamiamo<br />

la realtà è un certo rapporto fra le sensazioni e i ricordi che ci circondano<br />

698<br />

M. Proust, À l’ombre des jeunes filles en fleurs, cit., p. 191; trad. it. p. 1011. Sulla metaforicità<br />

delle tele di Elstir si è soffermata A. Henry, la quale ha osservato che la equivalenza che Proust<br />

pone tra il termine “metamorfosi” ed il termine “metafora” si spiega in virtù del fatto che «l’arte<br />

propone delle combinazioni liberatrici: la semplice parola, vale a dire la semplice designazione,<br />

veicolare ma inevitabile, dimora sempre sotto la dipendenza d’un rappresentato; se si vuol<br />

cambiare l’uno, si deve cambiare pure l’altra. Che si tratti della pittura o della letteratura, non v’è<br />

la menoma differenza» (Ea., Quand une peinture métaphysique sert de propédeutique a<br />

l’écriture: les métaphores d’Elstir dans À la recherche du temps perdu, in AA.VV., La critique<br />

artistique un genre littéraire, Puf 1983, pp. 205-226, qui p. 216).<br />

699<br />

M. Proust, À l’ombre des jeunes filles en fleurs, cit., p. 192; trad. it. p. 1012.<br />

700<br />

Ivi, p. 255-256; trad. it. pp. 1090-1091.<br />

701<br />

Ivi, p. 254; trad. it. p. 1089.<br />

702<br />

Si veda sul punto l’eccelente lavoro di E. H. Gombrich, Shadows. The Depiction of Cast<br />

Shadows in Western Art, National Gallery Publications Ltd., London 1995; trad. it. di M. C.<br />

Mundici, Ombre. La rappresentazione dell’ombra nell’arte occidentale, Einaudi, Torino 1996, in<br />

part. pp. 5-24.<br />

703<br />

M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 352, ma cfr. pure pp. 428-429.<br />

704<br />

Ivi, p. 308, dove propriamente si sottolinea: «La percezione sinestetica è la regola e, se non ce<br />

ne accorgiamo, è perché il sapere scientifico rimuove l’esperienza, perché abbiamo disimparato a<br />

vedere, a udire e, in generale, a sentire, per dedurre dalla nostra organizzazione corporea e dal<br />

mondo quale lo concepisce il fisico ciò che dobbiamo vedere, udire e sentire».<br />

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