PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA
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plasticità» che altrimenti lo connota 1155 , si determina in Proust attraverso il<br />
tentativo di estrarre un contenuto di verità che, secreto dalle diverse impressioni,<br />
perviene a dover confermare la propria autenticità nel confronto con l’esperienza<br />
illativa della morte, quale impressione suprema, non attenuata da alcuna<br />
pusillanimità e da alcun intervento dell’intelligenza 1156 .<br />
Tale esito non discende da una larvata inclinazione ad uno stile<br />
decadentistico, «in cui l’unità del libro si decompone per lasciare posto<br />
all’indipendenza della pagina, in cui la pagina si decompone per lasciare posto<br />
all’indipendenza della frase, e la frase per lasciare posto all’indipendenza della<br />
parola» 1157 , come segnando le tappe di una inarrestabile cachessia della scrittura,<br />
culminante in una ferale sigetica. Pure quando la pagina proustiana parrebbe,<br />
come accade nella descrizione del campanile di Saint Hilaire 1158 , cedere al<br />
silenzio, quest’ultimo non funge da sfondo inerte e passivo, bensì da reciproco<br />
reversibile di ogni nuova sonorità 1159 . La qual cosa ulteriormente conferma che<br />
lo sforzo inane nel quale Proust si profonde non è dato dalle difficoltà insite in<br />
una storia ovvero in quella legge che d’essa è garante: la sua scrittura non<br />
ambisce, in ultima istanza, a depositarsi in alcun “archivio” 1160 , onde conquistare<br />
1155 R. Caillois, Puissances du roman, in Id., Approches de l’imaginaire, Gallimard, Paris 1974;<br />
trad. it. di A. Zaccaria, La forza del romanzo, Sellerio, Palermo 1980, p. 49, ma poco prima si<br />
legge altresì: «Il romanzo non ha regole. Tutto gli è permesso. Nessuna arte poetica lo menziona<br />
o gli detta leggi. Cresce come un’erba matta in un terreno da scarico. Sicché, quando tutti i generi<br />
letterari vedono la loro varietà restringersi a causa della loro natura – di modo che non possono<br />
troppo modificarsi senza perdere perfino il loro volto e il loro nome –, il romanzo si vede invece<br />
incitato dalla sua stessa indole a impegnarsi in vie sempre nuove, a trasformarsi senza posa,<br />
dilatandosi o restringensi, docile in tutto al capriccio dello scrittore» (Ivi, pp. 33-34).<br />
1156 Cfr. M. Proust, Sodome et Gomorrhe, p. 156; trad. it. p. 912.<br />
1157 P. Bourget, Essais de psychologie contemporaine (1883), éd. par A. Guyaux, Gallimard,<br />
Paris 1993; trad. it. di F. Manno, Décadence. Saggi di psicologia contemporanea, Aragno,<br />
Torino 2007, p. 19.<br />
1158 M. Proust, Du côté de chez Swann, cit., p. 64; trad. p. 80: «(…) gli stridi degli uccelli che gli<br />
[scilicet al campanile di Saint-Hilaire] volteggiavano intorno parevano aumentare [semblaient<br />
accroître] il suo silenzio, rendere ancor più slanciata la sua guglia e dargli un che di ineffabile».<br />
1159 In questa pagina – chiosa J.-G. Jung – ci si trova di fronte a una situazione del tutto<br />
paradossale: «i termini contrapposti, il silenzio e i gridi, non sono affatto posti come tali, sebbene<br />
essi non perdano completamente il carattere oppositivo che li lega; ogni termine è in stretta<br />
dipendenza con l’altro, ma il loro rapporto di opposizione presuppone un processo che funziona<br />
in un duplice senso, reversibile, sicché l’uno non può comprendersi senza l’appoggio dell’altro, e<br />
reciprocamente» (Id., Une figure sans nom chez Proust, in «Littérature», 107, 1997, pp. 35-43,<br />
qui p. 37).<br />
1160 Gli scopi che distinguono la Recherche, ad esempio, da La folie du jour di M. Blanchot (Fata<br />
Morgana, Montpellier 1973; trad. it. di S. Marino, La follia del giorno, Filema, Napoli 2000), si<br />
spiegano nell’essere il secondo infirmato dalla perdita del «senso della storia», laddove il primo<br />
non solo tende a far vacillare le forme e le pratiche proprie di ogni narrazione, ma anche «la<br />
logica stessa del suo discorso» (G. Genette, Figure III, cit., p. 300). D’altra parte l’ascrizione al<br />
genere “racconto” de La folie du jour, se si fonda, come ha mostrato J. Derrida, sul suo essere<br />
«racconto senza racconto, racconto senza bordo, racconto in cui tutto lo spazio visibile non è che<br />
bordatura di sé sottratta a sé, senza sé», segna il limite estremo di una tassonomia che resta<br />
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