PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA
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una pura storicità trascendentale 1161 ; all’opposto essa vorrebbe coincidere con un<br />
piano di immanente imminenza di ciò che è già sempre passato 1162 :<br />
«fantasmi di un passato caro, talmente caro che il mio cuore batteva sino a rompersi, mi<br />
tendevano le braccia impotenti, come le ombre che Enea incontra negli inferi. (…). Ed ero (…)<br />
angosciato di volger per sempre le spalle a un passato che non avrei più rivisto, di rinnegare dei<br />
pertinacemente legata alla legge del racconto anche quando la viola, ratificandone la persistenza<br />
e la cogenza (Id., La loi du genre, in Id., Parages, Galilée, Paris 1986; trad. it. di S. Facioni, La<br />
legge del genere, in Paraggi, Jaca Book, Milano 2000, pp. 299-334, in part. pp. 324-325). Il<br />
tentativo di fare ordine negli avvenimenti di una giornata che lo ha visto vittima di un incidente,<br />
porterebbe il protagonista di La folie du jour a consegnare la propria storia ad una dimensione<br />
pubblica, ipostatizzata nella figura dell’archivio, se non fosse per le discontinuità che percorrono<br />
costantemente la sua narrazione, costringendola a ripartire sempre daccapo («Un racconto? Io<br />
cominciai (…). Raccontai loro l’intera storia che ascoltavano, mi sembra, con interesse, almeno<br />
all’inizio. Ma la fine fu per noi una comune sorpresa. “Dopo questo inizio, dicevano, verrete ai<br />
fatti”. Come! Il racconto era finito» (M. Blanchot, La follia del giorno, cit., p. 29)). Ciò che si<br />
osserverebbe in codesto stato limite della narrazione sarebbe l’esplicitazione di una empasse che<br />
perterrebbe alla possibilità di iniziare a raccontare ubbidendo allo stesso tempo alla legge che<br />
governa il racconto in quanto forma di comunicazione. L’inizio tanto storico che ontologico del<br />
racconto si disporrebbe ad essere governato dalla legge dell’archivio, se esso non fosse<br />
continuamente reiterato, se non sfuggisse, eccedendo sempre se stesso, a quella topografia che<br />
vorrebbe ricomprenderlo nella memoria, nel ritorno all’origine, ovvero all’arcaico e<br />
all’archeologico, fissandolo, nel medesimo tempo, in un luogo di autorità (archivio ∏ archè ∏<br />
archeîon) (cfr. J. Derrida, Mal d’archive. Une impression freudienne, Galilée, Paris 1995; trad. it.<br />
di G. Scibilia, Mal d’archivio. Una impressione freudiana, Filema, Napoli 1996, in part. pp. 1-9).<br />
Non si può pertanto dire che la narrazione non risponda agli obblighi imposti dalla legge; va al<br />
più osservato che nel porsi di fronte alla legge, essa è pregiudicata dal ritrarsi dell’origine, dalla<br />
legge della legge (F. Garritano, La legge e i suoi fantasmi, in J. Derrida, Pre-giudicati, cit., pp. 7-<br />
52, qui p. 24).<br />
1161 Come, sulla scorta di un passo di Husserl che vuole la funzione dell’espressione scritta<br />
risiedere «nel fatto di permettere la comunicazione anche senza un discorso personale immediato<br />
o mediato, di essere, per così dire una comunicazione virtuale» (Id., Die Krisis der europäischen<br />
Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, cit., p. 371; trad. it. p. 388), Derrida ha<br />
opportunamente osservato che codesta “virtualità” rappresenta un valore ambiguo, rendendo<br />
possibile allo stesso tempo la passività, la dimenticanza e tutti i fenomeni di crisi: «lungi dal far<br />
di nuovo ricadere in una storia reale una verità che si è conquistata sopra essa, la spaziotemporalità<br />
scritturale – di cui dovrà essere determinata l’originalità – compie e consacra<br />
l’esistenza di una pura storicità trascendentale. (...). Nel virtualizzare assolutamente il dialogo, la<br />
scrittura crea una sorta di campo trascendentale autonomo da cui ogni ogni soggetto attuale può<br />
assentarsi» (Id., Introduzione a “L’origine della geometria” di Husserl, cit., p. 141).<br />
1162 Cfr. A. Compagnon, Le Terre et les morts selon Marcel Proust, in «Bulletin de la Societé<br />
des Amis de Marcel Proust et des Amis de Combray», 39, 1989, pp. 113-122, in part. p. 116, il<br />
quale, nel sottolineare come l’ontogenesi della Recherche affondi le proprie radici in una<br />
filogenesi, richiama all’attenzione sul passo de La Prisonnière, cit., p. 587; trad. it. p. 466, che<br />
afferma: «Superata una certa età, l’anima del bambino che siamo stati e l’anima dei morti da cui<br />
siamo usciti vengono a gettarci a manciate le loro ricchezze e le loro disgrazie, chiedendoci di<br />
cooperare ai nuovi sentimenti che proviamo e nei quali (…) li rifondiamo in una creazione<br />
originale. (…). Siamo destinati a ricevere, da una cert’ora in poi, tutti i nostri parenti che arrivano<br />
da lontano e si raccolgono attorno a noi»<br />
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