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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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idea rappresenterebbe il polo di un’intenzione priva di qualsiasi determinatezza<br />

oggettuale e per questo capace di rivelare la pura intenzionalità, in quanto limite<br />

interno dello stesso esercizio fenomenologico. Sotto questo profilo si sarebbe<br />

portati ad ammettere che in seno ad una evidenza specifica nulla appare; ciò che<br />

appare sarebbe infatti unicamente «la possibilità regolatrice dell’apparire e la<br />

certezza finita della determinabilità fenomenologica infinita, cioè una certezza<br />

senza evidenza corrispondente» 1197 . Una tale prospettiva tenderebbe ad<br />

armonizzare la vocazione della fenomenologia ad essere ancor prima di una<br />

dottrina o di un sistema, un movimento proteso a cogliere il senso del mondo allo<br />

stato nascente 1198 , con un principio unitario chiamato a svolgere una funzione di<br />

mediazione tra la coscienza ed una storia affidata alle Idee, intese come «compiti<br />

infiniti che implicano un progresso senza fine» 1199 . Tuttavia, primariamente,<br />

vigerebbe in codesta impostazione la necessità di pensare ancora l’assoluto della<br />

Idea come pura possibilità di un rapporto genetico, scandito da una<br />

temporalizzazione votata ad articolarsi in una dialettica fra protenzioni e<br />

ritenzioni e in una non-dialettica propria del Presente vivente, in quanto forma<br />

universale della coscienza, con la conseguenza di voler intendere «il movimento<br />

vivente della comunanza e della vicendevole implicazione [die lebendige<br />

Bewegung des Miteinander und Ineinander] delle formazioni originarie di senso<br />

[Sinnbildung] e delle sedimentazioni di senso [Sinnsedimentierung]» 1200 sempre<br />

prodromico al progetto di una creattività nuova, seppure in sé implicante una<br />

passività del senso costituito 1201 . Ma invero che per il pensiero decostruttivo il<br />

negativo sia pensabile solo in quanto assenza costitutiva che si integra con il<br />

idea «non può darsi in persona, non può essere determinata in una evidenza, poiché essa non è<br />

altro che la possibilità dell’evidenza e l’apertura del “vedere”» (Id., Introduzione a “L’origine<br />

della geometria” di Husserl, cit., p. 198).<br />

1197 J. Derrida, Introduzione a “L’origine della geometria” di Husserl, cit., p. 200. Meglio<br />

puntualizzando il proprio pensiero il filosofo francese osserva altresì che «Questo senso puro<br />

d’intenzione, questa intenzionalità è dunque certamente, in se stessa, l’ultima cosa che una<br />

fenomenologia possa descrivere direttamente, altrimenti che nei suoi atti finiti, nelle sue<br />

intuizioni, nei suoi risultati, nei suoi oggetti; ma senza volere né potere descriverla, Husserl,<br />

nondimeno, la riconosce, la distingue e la pone come la più alta sorgente di valore. Egli situa lo<br />

spazio in cui la coscienza si significa a se stessa la prescrizione dell’Idea e si riconosce così come<br />

coscienza trascendentale attraverso il segno dell’infinito: è l’intervallo fra l’Idea dell’infinità<br />

nella sua evidenza formale-finita, ma concreta, e l’infinità stessa di cui si ha l’Idea. (…). L’Idea è<br />

ciò a partire da cui una fenomenologia s’instaura per compiere l’intenzione finale della filosofia.<br />

(…). La Endstifung della fenomenologia, la sua giurisdizione critica ultima, ciò che dice a essa il<br />

suo senso, il suo valore e il suo diritto, non è dunque mai direttamente alla portata di una<br />

fenomenologia» (Ivi, pp. 200-201).<br />

1198 Cfr. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 31.<br />

1199 P. Ricoeur, Husserl et le sens de l’histoire, in «Revue de métaphysique et de morale», 54,<br />

1949, poi in Id., A l’école de la phénoménologie, cit.; trad. it. di C. Liberti, Husserl e il senso<br />

della storia, in P. Ricouer, Studi di fenomenologia, cit., pp. 75-127, qui p. 77.<br />

1200 E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale<br />

Phänomenologie, cit., p. 380; trad. it. p. 398.<br />

1201 J. Derrida, Introduzione a “L’origine della geometria” di Husserl, cit., p. 203.<br />

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