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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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epoche discontinue"» 196 . Nelle considerazioni espresse da Ricoeur si mostra,<br />

però, meritevole di alcune delucidazioni l'aspetto peculiare a questo "passagio"<br />

attraverso la regione rappresentata dall'extra-temporale. Se ci si limita ad<br />

assumere questa nozione per definire il carattere «dimensionale» del tempo nella<br />

Recherche 197 , si deve convenire sul fatto che l'io, per Proust, sembrerebbe, al fine<br />

di compiere l'attraversamento del tempo, doversi trovare «al contempo in un<br />

momento del passato e in uno del presente», in modo tale che esso sia sì «al di<br />

fuori dell'ordine (irreversibile) del tempo, ma al contempo entre le présent et le<br />

passé, dunque nell'immanenza del tempo» 198 . Se così fosse, si potrebbe accedere<br />

alla proposta interpretativa, che pure è stata avanzata, di riconoscere tanto in<br />

Husserl quanto in Proust gli assertori di una temporalità che è intrinsecamente<br />

196 P. Ricoeur, Tempo e racconto II, cit., p. 247. Ma già G. Poulet aveva sostenuto che «il<br />

romanzo proustiano ha per vero inizio un'esistenza che, essa stessa, inizia, una esistenza che per<br />

esporsi muove verso l'avvenire. Il grande romanzo della retrospezione comincia in grazia della<br />

prospezione» (Id., Études sur le Temps humain IV. Mesure de l'instant, Éditions du Rocher, Paris<br />

1968, p. 305)<br />

197 P. Ricoeur, Tempo e racconto II, cit., p. 247. Nondimeno, errato sarebbe apparentare, per<br />

Ricoeur, tale "dimensionalità" del tempo al concetto di durata bergsoniano. Al riguardo, J. Megay<br />

precisa, a sua volta, che stando alla lettera della Recherche, per Proust, il momento extratemporale<br />

permette di contemplare «dei frammenti di esistenza», che sebbene siano «d'eternità»,<br />

non possono essere men che fuggevoli (M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., p. 454; trad. it. p.<br />

553), laddove, come si legge nell'introduzione a La Pensée et le Mouvement, Bergson rileva la<br />

impossibilità di uscire dal tempo, trattandosi, al contrario, di ricollocarsi nella durata e di<br />

riafferrare la realtà nella mobilità che ne è l'essenza (Cfr. H. Bergson, La Pensée et le<br />

Mouvement, Puf, Paris 1938; trad. it. di F. Sforza, Pensiero e movimento, Bompiani, Milano<br />

2000, pp. 7-8). Se ne trae che "l'istante sottratto all'ordine del tempo" di cui Proust afferma la<br />

necessità è concetto quanto mai lontano dalla nozione bergsoniana di durata, essendo esso un<br />

momento «immobilizzato fra il presente ed il passato, un arresto fortuito all'interno del flusso<br />

irreversibile del tempo» (J. Megay, Bergson et Proust, cit., pp. 66-69); cfr. inoltre N. Martin-<br />

Deslias, Idéalisme de Marcel Proust, cit., p. 29, che ritiene possa guardarsi alla nozione di "extratemporalità"<br />

propria di Proust, alla stessa stregua di quella alla quale si allude in talune<br />

esperienze mistiche, ovvero nelle teorie della fisica moderna; ma per quest'ultimo aspetto si<br />

vedano, oltre la lettera di Proust a B. Crémieux del 6 agosto 1922, ora in Correspondance, cit.,<br />

vol. XXI, pp. 402-404, le osservazioni di J. D. Erickson, The Proust-Einstein Relation. A Study in<br />

Relative Point of View, in Marcel Proust. A Critical Panorama, ed. by L. B. Price, University of<br />

Illinois Press, Urbana - Chicago - London 1973, pp. 247-276. In definitiva si potrebbe altresì dire<br />

che Proust «vede chiaramente che non è l'intemporalità che lo salva dal Tempo, ma è il Tempo<br />

che lo salva dal Tempo. In altre parole, il Tempo non non è affatto da intendersi orazianamente<br />

nella sua funzione distruttrice, possedendo esso una "funzione ontogenica"» (P. Fieschi, Le<br />

Temps perdu est retrouvé, in AA.VV., Proust, Hachette, Paris 1965, pp. 243-273, qui p. 250).<br />

198 H. R. Jauss, Tempo e ricordo nella “Recherche” di Marcel Proust, cit., p. 262; ma cfr. pure<br />

ivi, pp. 286-287. Ed analogamente, M. Blanchot, L'expérience de Proust, in Id., Le livre à venir,<br />

Gallimard, Paris 1959; trad. it. di G. Ceronetti e G. Neri, L'esperienza di Proust, in Il libro a<br />

venire, Einaudi, Torino 1969, pp. 20-33, osserva: «(...) non un passato e un presente, ma una<br />

stessa presenza che fa coincidere in una simultaneità sensibile certi momenti incompatibili,<br />

separati dall'intero corso della durata. (...) Metamorfosi del tempo, essa trasforma anzitutto il<br />

presente in cui sembra prodursi, attirandolo nella profondità indefinita dove il "presente"<br />

ricomincia il "passato", ma dove il passato si apre al futuro che ripete, perché quello che viene,<br />

sempre di nuovo e di nuovo ritorni» (Ivi, p. 21 e pp. 25-26).<br />

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