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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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Da queste ultime annotazioni può trarsi indicazione circa l’impossibilità per<br />

l’oggetto di essere in effetti immanente rispetto alla percezione 818 , con la<br />

818 Cfr. ivi, p. 77; trad. it. p. 101: «La cosa come tale, ogni realtà in senso autentico (…) non può,<br />

“per principio”, essere immanentemente percepita e quindi essere in generale reperita nella<br />

connessione dei vissuti. (…). Qui appunto si annuncia la diversità di principio dei modi di essere,<br />

la diversità più cardinale che si possa dare, quella tra coscienza e realtà». U. Melle ha sul punto<br />

osservato: «Il fatto che la realità è una qualità sensibile legata al dato oggettivo, non implica però<br />

che il dato oggettivo non sia un oggetto realmente esistente. Soltanto non ci permettiamo di far<br />

uso dogmaticamente dell’esistenza reale del dato. Ove l’esistenza non è documentata nel vissuto,<br />

allora essa non può essere addotta come caratterizzazione del vissuto. Tuttavia, per lo stesso<br />

motivo, il principio della posizione fenomenologica vieta anche di determinare il dato oggettivo<br />

come nulla di esistente in realtà. La posizione fenomenologica è proprio incompatibile con<br />

qualsiasi interpretazione ontologica del dato che si presenta oggettivamente alla coscienza.<br />

Codesta interpretazione non è tratta dai dati di esperienza della coscienza stessa; essa si presenta<br />

come una verità, nascosta agli atti di esperienza, sullo stato dei modi d’essere dell’oggetto dato<br />

dai medesimi atti di esperienza» (Id., Das Wahrnemungsproblem und seine Verwandlung in<br />

Phänomenologischer Einstellung. Untersuchungen zu den phänomenologischen<br />

Wahrnemungstheorien von Husserl, Gurwitsch und Merleau-Ponty (Phaenomenologica 91),<br />

Martinus Nijhoff, Den Haag-Boston-Lancaster 1983, p. 38). E d’altronde sono in tal senso<br />

perspicui gli stessi rilievi husserliani consegnati al Ms. D 15, trascrizione pp. 21-22 (15a-15b):<br />

«Certo è un paradosso che noi continuamente esperiamo il mondo e tuttavia cerchiamo con una<br />

ulteriore operazione una nuova “intuizione del mondo”, una effettiva evidenza comprendente<br />

esplicitamente il senso pieno del mondo, e che dobbiamo comporcela. Infatti, una semplice<br />

esperienza e così anche una esperienza accumulata non possono aiutarci, e se si dice “concetti<br />

senza intuizioni sono vuoti” (sono meri vocaboli e la loro interpretazione secondo una<br />

semplicemente analitica delucidazione è ciò che intendiamo espresso nei significati), allora in<br />

alcun modo ciò ha il senso: “concetti senza esperienza sono vuoti”. Come pure l’ulteriore<br />

assunto: “intuizioni senza concetti sono cieche” [(no?)] consente d’affermare che un atto<br />

concettuale, “logico”, è solo qualche cosa che da una esperienza può dare origine ad una<br />

conoscenza avveduta. Non l’esperienza, ma l’intuizione è necessaria al fine di ottenere il terreno<br />

indubitabile, sul quale si fondano tutti i retti concetti e giudizi sul mondo e la natura. Per avere<br />

legittimità e giustezza, essi devono avvedutamente essere attinti in modo originario a quella<br />

compiuta intuizione, che prescrive l’autentico loro senso come senso di verità, ed adeguarvisi, e<br />

perciò noi non li si deve far entrare in contraddizione con i giudizi apparenti, che si fondano per<br />

l’appunto su una intuizione incompiuta. L’esperienza del mondo è, però, in modo essenziale<br />

intuizione incompleta del mondo. Essa, in quanto percezione, ricordo e così via, è sì esperienza<br />

del mondo, ma ogni reale esperienza, ogni esperienza finita e conclusa in quanto atto mio o<br />

nostro, percepisce, appercependo. Ogni reale esperienza è, lo sappiamo, già dotata d’un orizzonte<br />

e perciò presuntiva. Le affermazioni sul mondo, nel loro tentativo di concettualizzare il mondo,<br />

la totalità del reale, come pure le affermazioni su un singolo dato reale hanno insieme alla<br />

giustezza della esperienza anche l’intera presuntività dell’esperienza in sé considerata [Es ist ja<br />

paradox, daß wir ständig Welt erfahren und doch erst als eine neue Leistung eine “Welt-<br />

Anschauung”, eine wirklich den vollen Sinn der Welt explizit umfassende Evidenz suchen, und<br />

uns erst zusammenbilden sollen. In der Tat, bloße Erfahrung und noch so gehäufte Erfahrung<br />

kann uns nicht helfen, und wenn es heißt “Begriffe ohne Anschauung sind leer” (sind bloße<br />

Wortbegriffe und ihre Auslegung bloß analytische Verdeutlichung dessen, was wir redend in den<br />

Bedeutungen meinten), so hat das keineswegs den Sinn “Begriffe ohne Erfahrung sind leer”. Wie<br />

denn auch der weitere Satz: “Anschauungen ohne Begriffe sind blind” [(nicht?)] besagen darf,<br />

daß begriffliche, “logische” Leistung es allein sei, welche aus Erfahrung einsichtige Erkenntnis<br />

schaffen könne. Nicht Erfahrung, sondern “Anschauung” ist notwendig, damit den zweifellosen<br />

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