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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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emblematica prova nell’episodio, in precedenza già menzionato, nel quale il<br />

narratore si sofferma a guardare, presso Hudimesnil, tre alberi, la cui immagine<br />

si staglia sì nitida, ma pur sempre dando la sensazione ch’essa nasconda qualcosa<br />

su cui non si è in grado di far presa, «come oggetti troppo lontani che le nostre<br />

dita, allungandosi in fondo al braccio proteso, arrivano soltanto a sfiorare per un<br />

attimo, in superficie, senza afferrarne alcunché», mentre la nostra esistenza<br />

comincia a conoscere la minaccia di un’alienazione di tutte le certezze sulle quali<br />

si era sostenuta e nelle quali si identificava 1027 . Allorché la memoria, nello<br />

strenuo sforzo di recuperare i diversi frammenti che compongono una vita, si<br />

mostra fallibile o, peggio, inane, a vacillare è infatti quel principio di<br />

«riconoscimento» che rende consapevoli di se stessi, ridestando nella coscienza<br />

uno stato passato, consaputo come nostro 1028 . È per questa via – osserva Proust –<br />

che si compie la rivelazione «della differenza qualitativa esistente nel modo in<br />

cui il mondo ci appare» 1029 . A determinarsi sarebbe una sorta di scarto interno al<br />

fenomeno stesso che accade: una evidenza senza possibilità di possesso 1030 . In tal<br />

consegnate da J. Derrida a Des tours de Babel, trad. it. di S. Rosso, in «aut-aut», 189-190, 1982,<br />

pp. 67-97, hanno parimenti fatto osservare che «se tra il testo tradotto e il testo traducente vi<br />

fosse un rapporto da “originale” a versione, esso non potrebbe essere rappresentativo né<br />

riproduttivo. La traduzione non è né un’immagine né una copia. (…). L’originale è il primo<br />

debitore, il primo postulante: esso comincia a manifestare una mancanza e a volere la<br />

traduzione», la quale, a sua volta, non aspira ad un trasferimento di contenuto, ma a «ri-marcare<br />

l’affinità tra le lingue, ad esibire la propria possibilità» (Ivi, pp. 78-83 passim).<br />

1027 M. Proust, À l'ombre des jeunes filles en fleurs, cit., pp. 77 e 79; trad. it. pp. 870 e 872. G.<br />

Gusdorf, Mémoire et personne, cit., vol. 2, p. 477, commentando queste pagine ha tratto il più<br />

generale principio che «noi non immaginiamo un ricordo cha sarebbe un ricordo di noi stessi<br />

soltanto; esso ci lascia insoddisfatti e proviamo il bisogno di attribuirgli un corpo, una identità –<br />

anche illusoria – senza la quale abbiamo l’impressione di un’esperienza rimasta incompleta»; ma<br />

cfr. altresì R. Ronchi, I segni della memoria, in «Itinerari»,1-2, 1986, pp. 285-302, in part. pp.<br />

294-297.<br />

1028 D’una siffatta accezione da conferire al termine “riconoscimento” si ha una attestazione nello<br />

studio di V. Egger, La parole intérieure, essai de psychologie descriptive, Baillère, Paris 1881,<br />

nel quale, segnatamente, si afferma: «il riconoscimento può definirsi l’idea del ricordo legata al<br />

fatto di ricordarsi di sé, o ancora: l’idea che il nostro stato presente riproduce uno dei nostri stati<br />

passati» (Ivi, p. 107); ma si veda l’intero § IX del Cap. II, pp. 107-118. L’influenza di codeste<br />

considerazioni sulla pagina proustiana è stata analiticamente messa in risalto da A. Henry,<br />

Anamnèses. Commencements du discours proustien, in «Po&sie», 14, 1980, pp. 108-126, in part.<br />

pp. 118-119.<br />

1029 M. Proust, Le Temps retrouvé, cit., p. 474; trad. it. p. 578.<br />

1030 Cfr. al riguardo la notazione di M. Merleau-Ponty secondo la quale: «Il fatto che non si veda<br />

più il ricordo = non distruzione di un materiale psichico che sarebbe il sensibile, ma la sua<br />

disarticolazione che fa sì che non ci sia più scarto, rilievo. Ecco che cos’è il buio dell’oblio.<br />

Comprendere che l’”avere coscienza” = avere una figura su uno sfondo, e che esso scompare per<br />

disarticolazione – la distinzione figura-sfondo introduce un terzo termine fra il “soggetto” e<br />

l’”oggetto”. È prima di tutto quello scarto che è il senso percettivo» (Id., Il visibile e l’invisibile,<br />

cit., pp. 212-213). Per una complessiva analisi della nozione di memoria e quella di oblio in<br />

Merleau-Ponty, si rinvia al puntuale saggio di G. A. Mazis, Merleau-Ponty: The Depht of<br />

Memory as the Depht of the World, in The Horizons of Continental Philosophy, ed. by H. G.<br />

Silverman et alii, Kluwer, Dordrecht-Boston-Lancaster 1988, pp. 227-250.<br />

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