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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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fosse realmente stato», da cui il ritrovato offerto dalla scena dell’addormentarsi<br />

del narratore, nella quale la fondazione d’uno spazio interno «risparmia il passo<br />

falso nel mondo esterno», basterebbe a far ascrivere il capolavoro proustiano nel<br />

novero delle opere realistiche 1337 . Il ricorso ad «immagini storiche primeve»,<br />

attuato mediante l’ausilio della memoria involontaria, non parrebbe – come<br />

invece sostenuto da Adorno – rispondere all’«antica esigenza del “così è”» 1338 ;<br />

all’opposto, la prospettiva dischiusa dalla memoria involontaria da un lato<br />

sancirebbe l’inattuabilità d’ogni tentativo di portare ad espressione il passato<br />

come fu presente, e dall’altro mostrerebbe la pura possibilità d’essere del<br />

passato, irriducibile tanto al presente che è stato, quanto al presente attuale 1339 .<br />

La memoria involontaria di Proust, come quella di Osip Mandel’stam, «non<br />

lavora a riprodurre, ma ad eliminare il passato» 1340 , con la conseguenza che la<br />

scrittura che si proponga di portare ad espressione le immagini di volta in volta<br />

secrete da codesta memoria non può essere altro che un tenue arco teso verso<br />

l’inaccessibile. La scrittura, d’altronde, è già in se stessa latrice di un potere di<br />

modificazione delle realtà umane e naturali secondo un movimento di negazione<br />

che da un lato assoggetta le cose al fine di renderle conoscibili e comunicabili e<br />

dall’altro comprende un piano più ampio, il quale, in un’ambizione<br />

globalizzante, «nega la negazione del tempo, nega la negazione dei limiti» 1341 .<br />

Ne discende una libertà negatrice e rivoluzionaria 1342 , che se nel suo compiersi è<br />

destinata a risultare ideale e astratta, nel suo procedere si mostra capace di<br />

emettere una sentenza capitale ed insieme di arrestarla 1343 . La parola scritta,<br />

come ogni atto di linguaggio, consegna ciò che intende significare, ma prima lo<br />

sopprime, dal momento che sottrae a quanto nomina la sua realtà in carne ed<br />

ossa. In tal senso si può affermare che, tramite la parola, la morte non viene<br />

1337<br />

T. W. Adorno, Standort des Erzählers im modernen Roman, in Id., Noten zur Literatur, Bd.<br />

1, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1958; trad. it. di E. De Angelis, La posizione del narratore nel<br />

romanzo contemporaneo, in Note per la letteratura (1943-1961), Einaudi, Torino 1979, pp. 38-<br />

45, qui p. 41. In generale, il pensiero espresso da Adorno in questo saggio si riassume<br />

nell’auspicio secondo il quale «se il romanzo vuol restare fedele alla sua eredità realistica e dire<br />

come stanno realmente le cose, deve rinunciare a un realismo che, riproducendo la facciata, si<br />

limita ad aiutare questa nei suoi affari di occultamento» (Ivi, p. 40).<br />

1338<br />

Ivi, pp. 43-44.<br />

1339<br />

Cfr. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 114.<br />

1340<br />

O. Mandel’stam, Sum vremeni, s. e., 1925; trad. it. di G. Raspi, Il rumore del tempo, Einaudi,<br />

Torino 1970, p. 76.<br />

1341<br />

M. Blanchot, La littérature et le droit à la mort, in Id., De Kafka à Kafka, Gallimard, Paris<br />

1981; trad. it. di R. Ferrara, D. Grange Fiori, G. Patrizi, L. Prato Caruso, G. Urso e G. Zanobetti,<br />

La letteratura e il diritto alla morte, in Da Kafka a Kafka, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 9-47, qui<br />

p. 22.<br />

1342<br />

Ivi, p. 24: «L’azione rivoluzionaria è, in ogni momento analoga all’azione che la letteratura<br />

incarna: passaggio dal nulla al tutto, affermarsi dell’assoluto come evento e di ogni evento come<br />

assoluto».<br />

1343<br />

È per dimostrare questa “legge” che M. Blanchot ha atteso a L’arrêt de mort, Gallimard,<br />

Paris 1948; trad. it. di G. Pavanello, R. Rossi, La sentenza di morte, SE, Milano 1989.<br />

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