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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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La ricerca d’una “riconoscibilità senza somiglianza” 519 fra nome e cosa non<br />

attesta, come emerge evidente da questo passo, la messa fuori circuito della<br />

esistenza concreta, ma conferma l’esigenza di pensare «il fondamento<br />

dell’immediatezza intenzionale», ossia ciò che contraddistingue il rapporto fra<br />

parola, nome e oggetto dell’intenzione, in relazione ad una nozione di eidos che<br />

non è alcunché di effettivo, «bensì qualcosa di esistente eideticamente all’interno<br />

di un tempo eidetico in un luogo eidetico» 520 . La percezione che precede l’atto di<br />

519 Nell’episodio del bal de têtes, il narratore, incontrando l’accolta dei personaggi che ne hanno<br />

costellato l’esistenza, dura fatica ad identificarli, dacché «il Tempo aveva “reso” tutti quei<br />

modelli in modo tale che erano riconoscibili ma non somiglianti». Ed in effetti, osserva Proust,<br />

«”riconoscere” qualcuno, e più ancora identificarlo dopo che non si è riusciti a riconoscerlo,<br />

significa pensare sotto un’unica denominazione due cose contraddittorie, ammettere che quello<br />

che c’era, l’essere di cui ci si ricordava, non c’è più, e che quello che c’è ora è un essere che non<br />

conoscevamo; significa dover riflettere su un mistero inquietante, quasi, come quello della morte,<br />

di cui esso è, del resto una sorta di introduzione e di annuncio» (Id., Le Temps retrouvé, cit., p.<br />

513; trad. it. p. 624 e p. 518; trad. it. p. 631). Sul punto, cfr. M. Ferraris, Ermeneutica di Marcel<br />

Proust, cit., pp. 72-77; nonché S. Guindani, la quale, con una evidente eco merleau-pontiana,<br />

afferma che in Proust, «il riconoscimento appare come chiasma di visibile ed invisibile, presente<br />

e passato, attività e passività della nostra esperienza. Esso è infatti un’attività (…), ma in tale atto<br />

si fa sentire tutto quel tempo trascorso e non percepito, quello iato vertigionoso che si spalanca<br />

tra l’immagine presente e quella passata, che ci fa comprendere che non siamo noi a contenere il<br />

tempo, ma che “è in definitiva il Tempo che ci contiene”» (Ea., Lo stereoscopio di Proust.<br />

Fotografia, pittura e fantasmagoria nella Recherche, Mimesis, Milano 2005, p. 111).<br />

520 W. Benjamin, Fragmente vermischten Inhalts (Zur Sprachphilosophie und Erkenntniskritik),<br />

in Id., Gesammelte Schriften, Bd. 6, hrsg. v. R. Tiedmann,, H. Schweppenhäuser, Suhrkamp,<br />

Frankfurt a. M. 1989; trad. it. di A. Pinotti, Sulla filosofia del linguaggio e la critica della<br />

conoscenza, in «Pratica filosofica», 10, 1996, pp. 17-41. Si fa, in particolare, richiamo ai fr. 3<br />

(pp. 19-22) e 15 (pp. 32-35). Nel fr. 3, Benjamin si confronta con la questione dell’intenzionalità<br />

fenomenologica, riguardata con riferimento al problema linguistico. Benjamin, propriamente,<br />

ritiene che si possano enucleare sei momenti in cui il fondamento dell’immediatezza intenzionale<br />

si presenta: «1) né parola né nome sono identici all’oggetto dell’intenzione; 2) il nome è qualcosa<br />

(un elemento) nell’oggetto dell’intenzione stessa, ciò che si disgiunge da esso; perciò il nome<br />

non è casuale; 3) la parola non è il nome, tuttavia il nome compare nella parola, legato ad altri<br />

elementi oppure ad un altro elemento; (…); 4) il segno non denota l’oggetto dell’intenzione, e<br />

non denota nulla nell’oggetto dell’intenzione – di conseguenza 5) il segno non denota il nome in<br />

quanto questo è qualcosa nell’oggetto dell’intenzione (…); 6) il segno denota la parola, vale a<br />

dire ciò che indica immediatamente, e tuttavia non necessariamente (come il nome), l’oggetto<br />

dell’intenzione». A queste annotazioni del pensatore tedesco, M. Carbone ha dedicato<br />

un’appendice nel suo, Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili,<br />

Quodlibet, Macerata 2004, pp. 101-108, nella quale, dando per implicita la vicinanza di codesti<br />

assunti benjaminiani con quelli proustiani, ne assume un’altra tutta interna all’Opera di<br />

Benjamin, sostenendo una consonanza con alcune considerazioni consegnate a Ursprung des<br />

deutschen Trauerspiels, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1974; trad. it. di F. Cuniberto, Il dramma<br />

barocco tedesco, Einaudi, Torino 1999. Segnatamente, all’affermazione che vuole l’eidos come<br />

nulla di effettivo, si accompagnerebbe, nell’opera del 1928, la precisazione per la quale<br />

«l’origine (…) non emerge dai dati di fatto»; così come i riferimenti al “tempo eidetico” e al<br />

“luogo eidetico” si concilierebbero con le puntualizzazioni concernenti la «preistoria» e la «storia<br />

successiva» dei dati di fatto (Ivi, p. 20). Se ne trarrebbe una giustificazione per la<br />

caratterizzazione, assai prossima a quanto sia dato riscontrare nell’estetica proustiana, delle idee<br />

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