PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA
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dalla realtà ostinatamente contemplata, un mondo chiuso, insostituibile, che<br />
appartenesse al solo autore e segnasse la sua vittoria sul fuggire delle cose e della<br />
morte» si avvale di una scelta oculata di istanti privilegiati, in ragione dei quali la<br />
vacuità della vita conosce una reiezione, dalla quale è tenuta salva soltanto quella<br />
speciale forma di memoria che «rifiuta la dispersione del mondo qual è», senza,<br />
tuttavia, procedere ad una negazione dello stesso reale, bensì tentando una<br />
conciliazione fra ricordo perduto e sensazione presente 664 . Ma ciò, a sua volta, si<br />
inquadra in una più complessiva riconsiderazione della relazione fra tempo<br />
esteriore e tempo interiore, ovvero fra mondo esterno e mondo interno, che si<br />
trovano a partecipare l’uno dell’altro, secondo i modi di una mutua conferenza<br />
dialettica 665 , la quale, tuttavia, in Proust non si afferma negli stessi modi in cui è<br />
ravvisabile in Joyce il fenomeno delle “epifanie” 666 , dal momento che nello<br />
scrittore irlandese l’oggetto compie la sua apparizione, estrinsecandosi «dai veli<br />
dell’apparenza» 667 , solo nella misura in cui il soggetto della rappresentazione sia<br />
664<br />
A. Camus, L’homme révolté, Gallimard, Paris 1951; trad. it. di L. Magrini, L’uomo in rivolta,<br />
Bompiani, Milano 1994, p. 291.<br />
665<br />
Cfr. H. R. Jauss, Tempo e ricordo nella “Recherche” di Marcel Proust, cit., p. 52: «L’evento<br />
nel tempo esteriore può, in quanto cornice, dischiudere lo sguardo verso il tempo interiore, il<br />
tempo esteriore può al contrario apparire nel tempo interiore, anche semplicemente nel riflesso<br />
della coscienza, restando agli occhi del lettore il mondo esteriore e quello interiore sempre<br />
connessi l’uno all’altro»<br />
666<br />
E ciò contrariamente a quanto sostiene G. Debenedetti, per il quale invece, la analogia tra<br />
epifanie e intermittenze è innegabile: «le une e le altre stabiliscono che la rappresentazione delle<br />
cose ha valore, interesse poetico narrativo, solo in quanto quella rappresentazione riveli la<br />
quiddità o l’anima infusa nelle cose, come avrebbe detto Joyce, il segreto che costituisce la verità<br />
permanente delle cose, come avrebbe detto (…) Marcel Proust» (Id., Proust, cit., pp. 330-331).<br />
Ma del medesimo segno è anche, più di recente, la lettura proposta da R. Kearney, Epiphanies in<br />
Joyce and Proust, in «The New Arcadia Review», 3, 2005<br />
(www.bc.edu/publications/newarcadia/archives/3/epiphaniesinjoyce/).<br />
667<br />
J. Joyce, Stephen Hero, Jonathan Cape, London 1956; trad. it. di C. Linati e G. Monicelli, Le<br />
gesta di Stephen, in J. Joyce, Racconti e romanzi, a c. di G. Melchiorri, Mondadori, Milano 1985,<br />
pp. 545-790, qui p. 767: «Dapprima noi riconosciamo che l’oggetto è un’unica cosa integrale, poi<br />
riconosciamo che è una struttura organizzata e composita, una cosa in fatto: finalmente, quando<br />
la relazione fra le parti è perfetta, quando le parti si sono calettate in un punto speciale,<br />
riconosciamo che è quella cosa che è. La sua anima, la sua identità, balzano fuori a noi dai veli<br />
dell’apparenza. L’anima dell’oggetto più comune, la struttura del quale è stata così calettata, ci<br />
appare radiante. L’oggetto compie la sua epifania». Sul significato dell’epifania in Joyce, si veda<br />
oltre al capitolo IV, pp. 60-85 dell’ampio e meticoloso studio di W. T. Noon, Joyce and Aquinas,<br />
Yale University Press, New Haven 1957, nel quale il fenomeno dell’epifania è paragonato a<br />
quello stesso mutarsi che pertiene alla luce della “claritas” di cui parla S. Tommaso e che,<br />
reinterpretato da Joyce, coinvolge l’esperienza di un soggetto percipiente e ne altera le<br />
espressioni linguistiche ed i costrutti, che perciò ripresentano quella medesima esperienza<br />
mediante simboli linguistici, rivilatilizzando «l’esistenza attraverso immagini illuminanti a<br />
vantaggio della contemplazione della mente immaginativa» (Ivi, p. 77), il saggio di F. L. Walzl,<br />
The Liturgy of the Epiphany Season and the Epiphanies of Joyce, in «PMLA», 4, 1964, pp. 436-<br />
450, che perfeziona gli assunti di Noon, osservando come la nozione di “epifania” sia da Joyce<br />
accolta ora come equivalente di “rivelazione” ora come equivalente di “illuminazione spirituale”,<br />
in un senso tanto psicologico che simbolico.<br />
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