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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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ulteriori implicazioni rispetto a quelle riscontrabili su un piano puramente<br />

linguistico. Ciò emerge fin dal § 6 della Prima ricerca, laddove Husserl si<br />

preoccupa di definire le caratteristiche dell’espressione, ossia il suo aspetto fisico<br />

e il complesso di vissuti psichici che ne determinano il senso. Sebbene, infatti, il<br />

filosofo avesse già notato come tale distinzione fosse, nel caso dei nomi, da<br />

sempre evidente, potendosi in ogni atto di nominazione distinguere fra ciò che<br />

esso rende noto e ciò ch’esso significa, ovvero fra «ciò che esso significa (il<br />

senso, il “contenuto” della rappresentazione nominale) e ciò che esso denomina<br />

(l’oggetto della rappresentazione)» 474 , nel prosieguo della sua disamina egli<br />

insiste nel valutare codesto carattere ancipite del nome, sottolineando in<br />

particolare il fatto che, diversamente da quanto accada nel discorso dialogico<br />

normalmente inteso, nominando un oggetto la combinazione dell’istanza<br />

dimostrativa, peculiare all’espressione in quanto tale, con la dinamica associativa<br />

in via di principio riconducibile alla genesi dell’indicazione, viene coinvolta in<br />

una sovversione tanto dell’inferenza quanto dell’inerenza, a vantaggio di un<br />

principio di presentificabilità, che fa partecipare l’espressione della nonevidenza<br />

della indicazione e quest’ultima dell’evidenza della prima. Più<br />

esattemente, si noterà che nel momento in cui si procede a nominare direttamente<br />

un oggetto, tale atto è conferito di una funzione informativa, di tipo indicale, la<br />

quale accompagna la funzione significativa più direttamente impegnata a fare<br />

apprezzare l’oggetto “come presente” 475 . Tale ultima locuzione, tuttavia, non<br />

dove, segnatamente, si legge: «ogni noema ha un ”contenuto”, cioè il suo “senso”, e per mezzo di<br />

esso si riferisce al “suo” oggetto». Se ne trae, in continuità con il modello della “descrizione<br />

identificante”, che «(a) il “contenuto” di un senso noematico è un senso descrittivo complesso,<br />

nella misura in cui esso può essere linguisticamente espresso attraverso l’uso di una descrizione<br />

definita, e che (b) un atto è intenzionalmente correlato ad un certo oggetto se e solo se questo<br />

oggetto è il solo e l’unico ad avere tutte o la maggior parte delle proprietà disposte dal contenuto<br />

dell’atto di Senso» (R. McIntyre, Intending and Referring, in Husserl. Intentionality and<br />

Cognitive Science, ed. by H. L. Dreyfus, MIT Press, Cambridge (Mass.) – London 1982, pp. 215-<br />

231, qui pp. 221-222).<br />

474 E. Husserl, Logische Untersuchungen, Zweiter Band: Untersuchungen zur Phänomenologie<br />

und Theorie der Erkenntnis. Erster Teil, cit., p. 38; trad. it. p. 299.<br />

475 Ivi, p. 64; trad. it. p. 324 § 16: «Quando sentiamo pronunciare un nome proprio si ridesta in<br />

noi la rappresentazione ad esso corrispondente, e noi sappiamo che si tratta della stessa<br />

rappresentazione che colui che parla realizza in se stesso e che egli vuole nel medesimo tempo<br />

suscitare in noi. Ma il nome ha, oltre a ciò, anche una funzione espressiva [Aber die Name hat<br />

überdies die Funktion eines Ausdruckes]. La funzione informativa è soltanto un ausilio per la<br />

funzione significativa. Non è la rappresentazione ad avere un’importanza primaria; non si tratta<br />

perciò di far orientare l’interesse su di essa, e su ciò che eventualmente essa riguarda, ma<br />

sull’oggetto rappresentato, come oggetto che è stato inteso e quindi denominato, presentandocelo<br />

come tale (…). Ma in rapporto all’oggetto, il nome proprio non è un segnale. Ciò risulta chiaro se<br />

riflettiamo sul fatto che, per essenza, il segnale indica un fatto, qualcosa che esiste, mentre<br />

l’oggetto denominato non ha affatto bisogno di esistere». In La forme et le vouloir-dire. Note sur<br />

la phénoménologie du langage, in Id., Marges – de la philosophie, Minuit, Paris 1972; tr. it. di<br />

M. Iofrida, La forma e il voler-dire, in Margini – della filosofia, Einaudi, Torino 1997, pp. 211-<br />

231, J. Derrida ricorda, in relazione con quanto espresso nella I delle Logische Untersuchungen,<br />

il § 124 del I Libro delle Ideen (Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen<br />

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